Paesi di emigrazione
SpagnaData di partenza
2014Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dopo settecento chilometri percorsi in 28 giorni, Giacomo raggiunge Santiago di Compostela, la meta finale del suo lungo cammino. La stanchezza si fa sentire molto, ma è l’emozione ad avere il sopravvento. Giacomo esulta nella modesta camera in cui alloggia. Davanti allo specchio può dirsi: ce l’ho fatta!
11 ottobre 2014 — giorno 29 di cammino
È lunga la strada per la felicità
Mi sveglio con la stessa emozione della mattina di Natale. Un albero è colmo di uccellini cinguettanti che si preparano per la migrazione. Mi sento come loro, sempre pronto a partire in cerca di un po’ di caldo, un po’ di amore. Nel bosco spiccano gli alberi di eucalipto, che si stagliano verticali come pali con i rami tutti in alto, rispetto agli altri complessamente contorti. Come tutte le mattine i miei baffi si inumidiscono per l’incontro del mio caldo respiro con l’aria fredda del mattino. Meno 15. Sale l’emozione. Il cuore pompa più forte. Si sentono i quaranta chilometri di ieri nelle gambe. Si sentono i settecento degli ultimi ventotto giorni, si sente Roncisvalle, si sentono le mesetas, si sente O Cebreiro. Cerco di stare il più lontano possibile dai gruppi di turisti, che percorrono gli ultimi cento chilometri senza zaino e poi dicono di aver fatto il Cammino. Io l’ho fatto. Io sono un pellegrino, non voi, che del Cammino non sapete nulla, procedete rumorosi senza salutare, tutti pettinati e ben vestiti, con le scarpette da tennis ben pulite. Il Cammino è anche sofferenza, scomodità, sconforto. Mangio un pezzo di tortilla, mio piatto tipico fino all’ultimo giorno. Ansia da gioia. È troppo importante il momento. E se non me lo godo a pieno? So che lo rimpiangerei. So già che da vecchio se mi dessero la possibilità di rivivere un giorno della mia vita sceglierei questo, eppure non sono così euforico come il momento richiederebbe. L’ultima salita, sul Monte do Gozo (molto portoghese il galiziano: do Gozo, O Cebreiro), non è nulla per i chilometri che ho macinato e le montagne che ho superato.
Scendo verso Santiago, ora solo una manciata di chilometri mi divide dalla meta. Gli occhi diventano lucidi a pensare a tutti i sacrifici fatti, a questo mese così intenso, alla voglia che avevo da due anni di venire qui, ai lunghi preparativi. Al mio sogno segreto che si realizza. Non nascondo l’emozione davanti ai turisti degli ultimi 100 che baldanzosi mi sorpassano senza degnarmi di uno sguardo lasciando una scia di profumo. La periferia di Santiago è deprimente. Molto brutta, macchine sfrecciano veloci, non è questo il Cammino. Mi sento a disagio, catapultato nel mondo reale proprio sul più bello. Accanto a me nessun pellegrino, solo uomini di città. Spero di raggiungere in fretta il centro storico. Ma anche qui non respiro quell’aria magica da Cammino. Sembra di essere in una città come Burgos o León, con i loro bei monumenti ma così distanti da quell’atmosfera speciale. Fra le vecchie case scorgo una delle torri della cattedrale. È lì che devo andare, è quello il punto di arrivo del pellegrinaggio. Mi animo un po’. Mi faccio largo fra turisti e mendicanti, scendo le scale sotto l’Arco del Palacio dove suonano due musicisti ambulanti, ed entro in Prazo do Obradoiro, dove svetta la cattedrale di Santiago de Compostela. Mi tolgo lo zaino, appoggio a terra il bastone e mi siedo per terra al centro della piazza, rivolto verso la facciata ovest della cattedrale. E quindi? Non dovrebbe succedere qualcosa? Nessuna gioia immensa, nessun pianto di commozione, nessuna folgorazione? Tutto qui? Tutta la Spagna a piedi per questo? Dalla mia entrata in piazza alla mia seduta sono stato al centro degli obiettivi delle macchine fotografiche di una comitiva che aspetta di entrare nella cattedrale. Io che tanto a lungo ho cercato di non essere turista sono diventato attrazione turistica. Sono soddisfatto di essere arrivato, ma cerco di godermi più intensamente il momento. Dove sono Giacomo e Giorgia? Con loro si potrebbe festeggiare. Non mi ci vuole molto per capire che questa sarà una gioia più personale, intima, che mi godrò col tempo e che non scatena una immediata ondata di felicità. La cattedrale non mi sembra così esaltante, sarà per i ponteggi attorno alla facciata in fase di restauro che coprono totalmente la vista delle due torri, ma non mi sembra più bella di altre. E la piazza, decantata dalla guida come una delle più belle del mondo, a dir la verità è piuttosto spoglia. Vado a ritirare la Compostela, magari trovo lì Giacomo e Giorgia. Trovo invece Paolo e Chiara e una fila lunghissima. Dopo i saluti e i complimenti di rito provo a telefonare a Giorgia con il cellulare di Chiara. Nessuna risposta. Se voglio saltare la fila, mi dicono, devo far parte di un gruppo. Prima che riesca a capire qualcosa ecco Paolo che mi trascina da un gruppo di spagnoli cui mi fa aggregare senza che possa dir la mia e in un quarto d’ora ho la mia Compostela. Con il nome sbagliato. PostingMel Iacobum (il nome lo mettono in latino). Ecco, lo sapevo che avrei dovuto far le cose come tutti gli altri. Ma è un errore rimediabile e presto me la rifanno. Ecco dunque la certificazione che attesta l’aver compiuto il pellegrinaggio a Santiago. Tutti dicono che la incorniceranno, la appenderanno al muro, ma io non credo. Penso la terrò in un cassetto, come una cosa mia, da non ostentare. Era il mio sogno segreto e terrò per me la sua realizzazione. Nel cassetto finirà anche la mia credenziale. Dopo aver invidiato la credenziale italiana ora vado fiero della mia, nonostante sia così spoglia, perché è la credenziale di Saint Jean: io l’ho fatto tutto. Giacomo e Giorgia, delusi dall’arrivo a Santiago pure loro — addirittura avevano sbagliato piazza e non avevano capito quale fosse la cattedrale — hanno accettato la prima camera loro offerta. Riesco a contattarli dopo aver incrociato Laura e Giuseppe mentre cercavo un albergue. Trovo miracolosamente posto in un albergue in pieno centro, nonostante quando ci fossi passato per la prima volta risultasse pieno. Veramente bello: stile casa vecchia (le scale scricchiolano un po’), camere piccole, da quattro ma nella mia c’è solo una australiana, balcone con vista cattedrale, un computer da cui comunicare a casa il mio arrivo a Santiago. Una volta in bagno, da solo, davanti allo specchio, riesco a rendermene conto. Ce l’ho fatta. Esulto. Fuori dalla porta della cattedrale moltissimi mendicanti. L’interno non mi lascia sbalordito, è altera, severa come tutte le cattedrali. Affollata. Il famoso Portico della Gloria, il gruppo scultoreo dietro l’altare, non si vede bene, tutto transennato, anche questo sotto restauro. In alto, dietro il portico, una statua di San Giacomo che si usa abbracciare per l’avvenuto pellegrinaggio, raggiungibile per una scalinata dopo una lunga fila. Sotto l’altare una cripta dove in un’urna d’argento sono conservate le reliquie del santo. Provo un po’ d’emozione, è per questo che siamo qui, è per questo che si fa il Cammino di Santiago, è in seguito al ritrovamento dei resti dell’apostolo che è stata eretta la cattedrale e attorno è stata fondata Santiago. Una città diventata troppo turistica, innumerevoli i negozi e le bancarelle di souvenir per i pellegrini. Fa male dopo un mese fuori dal mondo ritrovarsi così commerciali. Il massimo è raggiunto da una maglietta di Peppa Pilgrim. Ma stasera bisogna festeggiare e usciamo tutti insieme a cena: io, Giacomo, Giorgia, Vincenzo, Fabio, Paolo, Chiara, Giuseppe e Laura, che si è decisa oramai da qualche giorno ad abbandonare la sua dieta fruttariana e mangia finalmente con noi. Eustaquio, pure lui arrivato oggi, è esausto e rimane in camera. I locali abbondano e fatichiamo a trovarne uno che metta tutti d’accordo. Tiriamo le somme di questo cammino. Io voto Grarion albergue migliore, Burgos quello più brutto, la salita su O Cebreiro la tappa più bella. Giorgia è eletta la più coraggiosa, “mai viste delle ampolle ai piedi come le sue”, eppure è riuscita a tenere il nostro passo. Io, il più presente. Tutti mi conoscono, tutti mi incontrano ogni giorno, anche più volte. Capita magari che mi sorpassino e dopo qualche chilometro mi sorpassino di nuovo sbalorditi, tanto che è nata la leggenda che sul Cammino ci siano quattro me. Mi conoscono persone mai viste, con cui giuro di non aver mai parlato. Inoltre sono sempre riuscito a trovare chi volevo vedere nonostante la mancanza di telefono, semplicemente capitando nel posto giusto al momento giusto. Sono onnipresente. Mangio un sacco, bevo anche di più. Usciti dal ristorante facciamo un giro per le vie del centro, finché una musica attira la nostra attenzione. C’è un gruppo celtico, con percussioni e cornamusa. Il bar è piccolino ma mentre arriviamo un gruppetto di persone si alza e se ne va. La musica è fantastica, perfetta per festeggiare in allegria. Riesco a trovare l’Irlanda in qualsiasi luogo vada. Battiamo forte le mani, alziamo in alto i gomiti. Decisamente troppo. Quando ci alziamo fatico a tenermi in piedi e rido assieme a Giorgia. Non c’è coprifuoco nell’albergue, devo inserire il codice per aprire la porta, operazione resa ancora più difficile da Giacomo che schiaccia bottoni a caso. Meno male che interviene Chiara. Sto male. Non sono abituato a bere così tanto. Corro in bagno e, fra lamenti, vomito anche l’anima. Nel lavandino, che si intasa. Poi riesco a dormire.
Il viaggio
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