Mestieri
consulenteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
CinaData di partenza
1988Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)L’impatto con Pechino e con il campus in cui Roberta Gandolfi si è recata per studiare nel 1988.
PECHINO 10 LUGLIO – 15 SETTEMBRE 1988
La mia decisione di venire a Pechino per due mesi a studiare la lingua cinese risiede probabilmente nel mio innato amore per la sofferenza: è un sacrificio volontario di spessore che soddisfa le tendenze stoiche del mio carattere. La destinazione, accuratamente scelta dalla nostra Università di Venezia, è il Centro Linguistico per Stranieri inglobato entro il campus della prestigiosa Università di Pechino. Studieremo, vivremo, mangeremo, in questo luogo, a detta di tutti, di fama mondiale. All’arrivo ci accoglie un canto di cicale frastornante. Siamo nel mese di luglio e a Pechino fa caldo: l’umidità favorisce il prolificarsi degli insetti. La nostra area consiste in una serie di dormitori occupati interamente da studenti stranieri: casermoni grigiastri con file interminabili di camere, disposte su tre piani, con i servizi in comune. Dopo essere passati attraverso le solite procedure burocratiche del check-in nella scuola, aver conosciuto la preside e cantato un inno a Mao nella sala delle conferenze, il responsabile dei dormitori ci comunica che vivremo nell’edificio numero “sette”. Come avrò poi modo di verificare in seguito e di persona, il dormitorio numero sette è il più malfamato della scuola e corre voce che là accadano cose strane all’insaputa degli insegnanti e degli altri studenti. Quando io e la mia amica Roberta vi mettiamo il piede dentro, avverto subito un’atmosfera di radicata anarchia. Il controllore che si trova all’entrata e che deve occuparsi di seguire il comportamento di tutti gli abitanti, si dondola pigramente su una vecchia sedia, pulendosi minuziosamente l’orecchio con uno stuzzicadenti. I cinesi non brillano per igiene e per educazione: dopo tanti anni di abitudine alla “cricca”, sembrano non dare alcun segno di miglioramento in questo senso.
La nostra stanza è l’ultima in fondo al corridoio e la immortalo subito perché voglio che tutti la vedano. Trattasi di un vano di tre metri per due con due brande di ferro, un tavolo tutto mangiato dal tarlo, uno sgabello e una cavità nel muro per mettervi i vestiti. Il pavimento è inesistente, anzi è bagnato a causa dell’acqua che trasuda da sotto. Non mi stupirei se mi dicessero che quello è l’inferno: nei miei sogni me lo immagino così!
Il viaggio
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