Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
SveziaData di partenza
1964Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Di lavoro in lavoro, un italiano emigrato in Svezia negli anni ’60 riesce ad integrarsi in una realtà socialmente molto diversa rispetto a quella da cui proviene.
Al ritorno me ne andai a vivere con la mia ragazza nei pressi di Stoccolma ad Upplands Vhby. Prendemmo un mini appartamento in affitto che ci sembrò un paradiso. Lei faceva la maestra d’asilo ed io mi cercai un lavoro. Non fu difficile, perchè al primo tentaivo venni subito assunto presso la Optimus, che fabbricava piccoli fornelli a petrolio, tipo quelli che si usano in campeggio, da esportare nei paesi dove la gente non aveva altro mezzo per prepararsi da mangiare.
Fra i vari modelli c’era anche il “Primus”: un catafalco ad un fuoco che mia madre ha usato per tutto il tempo che abbiamo vissuto in Argentina. Quando ci mettava su la pentola dell’acqua per la pasta, doveva stare attenta a non rovesciarla addosso a causa delle caratteristiche particolarmente instabili del fornello, appesantito dalla pentola sovrastante. Il tutto raggiungeva il mezzo metro di altezza. Però sempre meglio dell’avere la sola stufa a legna per preparare il cibo, come quando abitavamo nella soffitta i primi mesi dopo il ritorno in Italia. Mia madre ricordava spesso il Primus e quando le scrissi che lavoravo nella fabbrica che lo produceva, colsi un sentimento di contentezza nella sua risposta. Entrambi furono felici nel sapere che avevo trovato lavoro il giorno stesso che lo avevo cercato. In Italia i tempi erano duri e la disoccupazione stava aumentando, si stava preparando il ’68. Loro erano contenti ed io ancor di più perchè mi sembrava di avere già vinto mezza scommessa con i miei amici che facevano i disoccupati a casa. Prendevo una paga oraria che in Italia spettava solo alle maestranze e non mi accorgevo, con la coscienza odierna, che ero capitato in un inferno. Tutte le mansioni della fabbrica erano pagate a cottimo e veniva riconosciuto solo un minimo orario per quando si doveva attendere che il capo reparto attrezzasse la prossima macchina sulla quale lavorare. I cottimi erano misurati sulle prestazioni di una maledettissima donna, piccola e grassa, di nome Svea, che in tanti anni di lavoro in quel luogo aveva perso 4 dita delle mani. Era un carro armato e, quando lavorava, non voleva parlare con nessuno per riuscire a produrre ai suoi ritmi abituali. La manodopera era quasi tutta finlandese, composta di bellissime giovani ragazze e, anche loro, miravano al meridionale dalla carnagione scura. Una rarità per quei tempi. Ad appestare l’aria di tutta la fabbrica era il reparto chimico, dove venivano immersi quasi tutti i prodotti, e dove una buona donna con un camice di gomma di protezione mi offriva sempre le pastine che lei stessa preparava. Come ho detto, i ritmi erano forsennati, alla faccia della socialdemocrazia svedese.
Particolarmente oneroso mi era lavorare ad una pressa, dove Svea aveva perso un suo dito, per paura di non essere abbastanza veloce nel ritrarre la mano quando il maglio scendeva giù. Proprio per questa operazione pensai di utilizzare la mia cultura di perito industriale. Comperai un paio di fogli A2 e mi misi a disegnare un meccanismo che doveva fare quello stesso lavoro in meno tempo e con più sicurezza. Calcolai le dimensioni dei bracci di movimentazione e tutto quanto avevo imparato a scuola. A lavoro ultimato avevo chiari in testa i movimenti ed i tempi. Presentai il progetto che però, dopo i ringraziamenti del direttore, mi costò il licenziamento. “Per problemi di ” mi venne detto. Penso che dietro ci sia stata la mano di Svea che era anche rappresentante sindacale oltre che rovina tempi del cottimo.
Il giorno dopo avevo già trovato un nuovo lavoro, molto meglio retribuito e molto meno stressante, che consisteva nell’assemblare, alla catena di montaggio, macchine offset per la stampa. Il lavoro nella mia isola era calcolato in 55 minuti a macchina. Io, dopo un periodo iniziale, ci stavo molto meno, ma non l’ho mai detto a nessuno. Quando, ogni tanto, veniva il tecnico con il cronometro per misurare i tempi, non sono mai riuscito a scendere sotto l’ora per macchina. Guadagnavo qualcosa di meno, ma alla sera riuscivo a fare all’amore.
Per acquistare un giornale italiano dovevamo andare fino alla stazione centrale di Stoccolma. Le uniche radio in lingua italiana erano quelle della DDR e radio Praga, che trasmettevano notizie di sola propaganda. Inoltre la stampa svedese locale dell’Italia riportava solo gli scontri ed i morti di piazza. Prima di andarmene a vivere nel quartiere italiano di Stoccolma, ebbi modo di iscrivermi all’università e di fare il papà a tempo nell’asilo del paese. Molte donne vivevano da separate ed avevano uno o due figli. La pedagogia del tempo aveva stabilito che la vicinanza di un genitore maschio era indispensabile per uno sviluppo equilibrato del bambino. Così venni assunto part-time nell’asilo comunale. Dovevo essere abbastanza inflessibile da “..non somigliare ad una mamma..”. Queste erano le uniche istruzioni generiche che, per altro, mi venivano ricordate dalle maestre quando mi allontanavo dalla regola. La mia figura di straniero doveva anche servire ad abituare i bambini al fatto che una presenza autorevole poteva essere anche rappresentata da uno straniero e favorire così l’integrazione e future accettazioni dello stesso. Con questo lavoro iniziavo ad abituarmi al fatto che, oltre a studiare, dovevo anche mantenermi, anche se avevo ottenuto il prestito d’onore (circa 6.000 euro al valore attuale del 2012), che veniva assegnato anche agli studenti stranieri. Ero così riuscito a battere i “gufi” in Italia che mi vedevano come un incallito e fallito sognatore. Avevo vissuto un contrasto profondo con mio padre che mi rivoleva in patria, contrasto che ci aveva portato a non comunicare più per circa un anno. Ora la situazione, su quel versante, si era ristabilita, ma il difficile, per me, doveva ancora venire.
Il viaggio
Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
SveziaData di partenza
1964Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di G. C.
Treni da deportati
Il primo viaggio verso la Svezia iniziò malissimo. Il mio carissimo amico F. S. mi accompagnò alla...
Passione svedese
Ripartenza, 1966 L'estate, durante le vacanze, facevo il fotografo da spiaggia a Lignano, forse il più bel...
Battaglie sindacali
Nacka, 1968 Alla quasi febbrile ricerca di altri connazionali, venni casualmente in contatto con degli italiani iscritti...
Prima del ritorno
Per tutti gli anni in cui ho vissuto all'estero, due idee fisse mi ha indotto a...