Mestieri
studenteLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1937Data di ritorno
1942Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo la conquista di Addis Abeba da parte dei britannici Francesca Pennacchi si rifugia, con la madre e la sorella, in una zona di sicurezza sorvegliata dal Comando inglese che, in seguito porta le famiglie italiane nei campi di concentramento, fra l'Etiopia e la Somalia. Qui la vita è più tranquilla e sicura, ma in poco tempo scoppia un'epidemia che uccide molti bambini. Gli inglesi, d’accordo con il governo italiano, decidono allora che è meglio rimpatriare i prigionieri. In breve salperanno dall’Italia le cosiddette navi bianche, che riporteranno in patria circa 28.000 connazionali.
La terra che si profila all’orizzonte, dapprima come un miraggio, così avvolta dalla nebbia leggera della lontananza, poi sempre più reale, è proprio l’Italia!
C’è un bel sole alto nel cielo quando arriviamo a Napoli, dopo ben cinquantacinque giorni di navigazione. C’è un gran subbuglio: il re in persona verrà a riceverci, a ricevere le reduci dall’A.O.I. Sono eccitata, naturalmente, non è cosa di tutti i giorni vedere un re! Sarà come nelle fiabe della nonna avrà un mantello azzurro? ma la delusione è grande quando, attorniato da molta gente, vedo avanzare il re: è piccolo, un piccolo uomo pallido, magrolino e vecchio; siccome sono riuscita a farmi largo in prima fila, cerco di misurare la mia altezza con la sua e, con mia grande soddisfazione, – constato che non è poi tanto più alto di me, anche se è un re ! Forse per questo chi comanda in Italia è in realtà il Duce, così forte e deciso, con quelle mandibole sporgenti che sembrano dire: ” Obbedite! “; anche ora la gente batte le mani e grida: ” Viva il Duce! Viva il re! ” e poi è uno solo il nome che viene scandito: Du-ce! Du-ce anche se lui non c’è; questo piccolo pallido vecchio re mi fa proprio pena! Molta gente sbarca a Napoli e dicono che hanno fatto sbarcare qui anche la donna che ha scattato le fotografie a Gibilterra, accompagnata da due carabinieri saliti sulla nave per lei. Guardo sulla banchina la folla e mi ritorna in mente quel giorno lontano in cui, arrivate a Massaua, cercammo inutilmente il babbo tra la gente che si accalcava sul piazzale assolato. Ora tutti sventolano bandierine tricolori e continuano a scandire gridando la solita parola: “Du-ce! Du-ce” per quanto, se siamo rimpatriate, lo dobbiamo al Papa e alla Croce Rossa, che nessuno nomina; tuttavia questo nome, così scandito da tante voci con sempre maggior forza, mi elettrizza e vorrei unirmi agli altri, ma so che la mamma non sarebbe d’accordo con il mio entusiasmo e, pensandoci bene, credo che non abbia nessun merito per il nostro ritorno, anzi dicono che lui voleva che si rimanesse in Africa a tenere alto il nome degli italiani. La mamma mi esorta a scendere in cabina per preparare le valigie, perché presto saremo a Livorno ed è meglio essere pronte; veramente ci vuole ancora un po’ ad arrivare a Livorno, ma la mamma vuole essere sempre la prima! Ecco il porto di Livorno! La gioia per il ritorno a casa, che ora è sicuro, è come soffocata dall’ansia di cui non riesco a liberarmi, per quanti sforzi faccia: certamente non sarà tutto come l’ho lasciato quel giorno, quando la mamma mi svegliò per dirmi che un treno ci aspettava per iniziare un viaggio lunghissimo; Miriam continua a parlare con particolare euforia, sicuramente felice: ” Sergio e Marisa staranno aspettandoci alla stazione di Avenza, e ci saranno anche il nonno e la nonna e lo zio Raoul e “, mentre lei continua a parlare io mi chiedo se li riconoscerò. Quattro anni sono passati e in tanto tempo si cambia, soprattutto i ragazzi e i vecchi ma anche se sarà più vecchia la mia nonna sarà sempre la mia nonna e il suo affetto per me non sarà certamente cambiato, come non è cambiato il mio per lei ” Forse troveremo anche il babbo, continua mia sorella, non vedo l’ora di arrivare! ” Forse il babbo non ci sarà ma, come ha detto il comandante alla mamma, avremo notizie precise sulla sua nave e su di lui, speriamo buone!; menomale che la mamma è qua con noi, Dio, Ti ringrazio di avercela protetta! Se penso a quel giorno terribile in cui fu portata all’ospedale mi prende ancora oggi la stessa angoscia di allora! Ecco, la nave si accosta alla banchina tutte le banchine di ogni porto si assomigliano: gente che parte, gente che arriva ed è aspettata da qualcuno o non è aspettata da nessuno, grida, nomi, esclamazioni, braccia che si agitano, mani che indicano, e bagagli, bagagli ovunque anche qui c’è uno sventolio di bandierine tricolori per darci il benvenuto, e anche qui rimbalzano nell’arìà le due sillabe tanto care agli italiani: ” Duce! Duce! ” ripetute all’infinito, come se ogni avvenimento dipendesse da lui. Scendiamo dalla nave ed io provo quello sgomento che mi vuota lo stomaco ogni volta che qualcosa cambia nella mia vita; la nave è stata per tanto tempo la mia casa e ci stavo bene, ora la devo lasciare, come ho lasciato tanti altri posti ma la mamma non mi dà tempo di soffermarmi a pensare e a salutare la mia ultima dimora, mi trascina via proprio come quel giorno in cui siamo partite, come se fossi una cosa, mentre segue i nostri bagagli, che vengono portati verso un autobus da un soldato. Siamo alla stazione di Livorno e mamma e Miriam sono estremamente agitate: “Perdiamo il treno, corriamo, corriamo!” ma se il treno è lì per noi, perché tanta agitazione? Mi dà fastidio, vorrei mettermi a sedere, che confusione! Ha ragione la mamma a rimpiangere la precisione dell’organizzazione inglese! Finalmente saliamo sul treno, che parte quasi subito, e il battito del mio cuore segue il ritmo crescente caratteristico di ogni treno: ciuff, ciuff, ciuff “Siamo ad Avenza! Avenza! Avenza!”, qualcuno ripete più volte questo nome gridandolo, e in me aumenta lo sgomento, mentre Miriam, affacciata da un pezzo al finestrino, gesticola e grida: “Nonna! Nonno! Sergio! Marisa! Zio!”, li chiama ad uno ad uno e in ogni nome mette tutto il suo affetto, la sua gioia per essere tornata e il suo carattere estroverso, ricco di entusiasmo, che tanto invidio; io, con la mia borsa stretta nella mano, mi lascio spingere fuori dal treno e mi ritrovo a terra, tra la gente; vorrei aggrapparmi alla mano della mamma, ma lei è tutta indaffarata con i bagagli che, siccome non sono molti, mi sembra non meritino tanta attenzione, e Miriam corre già verso il gruppetto di persone che io cerco di sbirciare in mezzo alla gente sconosciuta che mi è intorno. Riconosco soltanto la nonna no, anche lo zio il nonno è molto invecchiato, è più curvo e i suoi capelli sono quasi completamente bianchi ma quei due ragazzi che sono con loro mi sembrano due estranei Marisa e Sergio non sono più com’erano quattro anni fa forse anche loro non riconosceranno me, anche se io, con mio grande rammarico, non sono poi cresciuta tanto! Avanzo timidamente e la nonna mi chiude tra le sue braccia e mi stringe forte a sé il suo abbraccio è lo stesso, tanto che mi piace pensare di essere ancora in quel giorno, quando all’alba salutai tutti i miei cari per partire; quest’abbraccio mi dice che mi trovo veramente a casa.
Il viaggio
Mestieri
studenteLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1937Data di ritorno
1942Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Gli altri racconti di Francesca Pennacchi
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