Paesi di emigrazione
LibiaData di partenza
1951Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Alla fine della Seconda guerra mondiale, il padre di Fiorella torna a vivere e lavorare in Libia. La famiglia Camisa è in qualche modo legata alla terra africana da un filo invisibile e così, nel giro di poco tempo, anche Fiorella e la madre raggiungono l’uomo a Tripoli, visibilmente felice per aver riunito, almeno temporaneamente, la famiglia.
Nel 51 mio padre tornò in Libia a riprendere il suo posto di direttore delle Centrali Elettriche. La società era denominata SECI da Società Elettrica Coloniale Italiana.
A mio padre dispiaceva molto annullare quella sigla e trovò un marchingegno perché portasse ancora il vecchio nome. Divenne così Soc. Elettrica Commerciale Industriale. Seci, appunto. Una piccola vittoria e una grande soddisfazione.
Alloggiava insieme a molti italiani tornati a lavorare laggiù, alla Pensione Biagini, i cui proprietari erano di Montecatini Alto. Ci scriveva bellissime lettere e descriveva i luoghi che non erano cambiati e conservavano intero il loro fascino. “Presto verrete” scriveva, ed io non vedevo l’ora di partire. Ma facevo proprio la terza media ed era un po’ difficile conciliare le cose. Invece…”Venite per le feste —ci scrisse- qui ho organizzato tutto”. E infatti mi fu annunciato da mia madre che avremmo passato il Natale in Libia. “E’ proprio vero?” mi chiedevo. “Non cambierà idea?” “Torneremo presto, devi dare l’esame di stato” Invece staremo a Tripoli tre mesi, per la mia felicità, e riuscirò poi ugualmente a superare l’esame per il ginnasio. Intrapresi così il mio primo viaggio in aereo, un modello con quattro grandi eliche, che impiegò quattro ore per arrivare in “Africa”, con un breve scalo a Malta. Dopo il decollo, in basso, vedevo case, automobili, uomini e campagne farsi sempre più piccoli. Qualche nave che sembrava immobile nel mare vastissimo attirava il mio sguardo, e poi allontanandoci dalla costa, mare mare e mare per lunghissimo tempo. Infine l’Africa. La costa si avvicinava, con i suoi golfi di smeraldo, azzurri verde, giallo per gli scogli e le alghe. Un paesaggio così diverso da quello che avevo lasciato, di una bellezza mozzafiato. Ecco la terra, casette bianche, qualche oasi, il deserto, tende sparse, palme solitarie. A Roma era inverno pieno: in cima alla scaletta, scendendo dall’aereo, respiravo aria tiepida, profumata di eucalipti, e guardavo il meraviglioso cielo senza nubi, sopra di noi. Il babbo ci aspettava con la nuova macchina che aveva comprato, una Fiat 1100 azzurro polvere. Per vie africane, spesso invase da folate di sabbia dorata, con ai lati lunghe file di eucalipti altissimi e sparuti cespugli, ci portò in città. La nostra casa provvisoria sarebbe stata la pensione Biagini, in Via Molfetta, una traversa di Corso Sicilia. I Biagini e gli altri ospiti italiani ci accolsero con molta simpatia. Il babbo era emozionato. Non si capiva dal di fuori perché non lo dava a vedere, ma io che lo conoscevo bene, me ne accorgevo da tanti piccoli gesti e dall’espressione del suo volto.
Il viaggio
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