Liberi

Alle 9 tutti in commissariato. Lì era già presente il commissario. Il primo ad essere interrogato sono stato io, con il vescovo presente. Hanno verificato tutto quanto avevo nella valigia, e mi hanno raccomandato di dire la verità perché ero davanti al vescovo e non dovevo raccontare storie. Io avevo ben poco da dire, se non che cercavo un posto in Africa che non fosse un forno, e che la missione, il lavoro e tutto fossero di mio gradimento. Dopo è arrivato il turno di Cattai. Per lui le cose sono state un po’ più difficoltose per due ragioni: la prima perché le foto le aveva fatte soltanto lui, la seconda, forse più importante della prima, che a loro era venuto il sospetto che fossimo due spie. Cattai, per sua sfortuna, qualche tempo prima, forse alcuni mesi, nei suoi spostamenti in Africa aveva avuto uno scalo tecnico in Uganda, e quindi aveva sul passaporto il timbro con il visto dell’ Uganda. Non è stato facile convincerli che noi eravamo lì per far del bene proprio a loro. Verso mezzogiorno si sono convinti e siamo stati assolti con formula piena. Saluti, strette di mano, tutti felici, eravamo liberi. Era proprio l’ora giusta per andare al ristorante. Finito il pranzo siamo partiti in macchina con i padri per Manyoni. Il giorno dopo Cattai e i padri dovevano discutere del progetto che già era stato in linea di massima programmato in Italia. Era un progetto grande, ambizioso. Si doveva provvedere all’installazione di 18 pompe eoliane nei vari villaggi, e ogni villaggio doveva mandare una ragazza intorno ai vent’anni a Manyoni. A Manyoni si dovevano organizzare e allestire due scuole, una per le ragazze per istruirle nel cucito, taglio, confezioni e riparazioni di vestiti.