Mestieri
export managerLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Algeria, Siria e IraqPeriodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Rosario Simone è in Iraq, per motivi di studio, il 2 agosto del 1990: il giorno in cui Saddam Hussein inizia l’invasione militare del Kuwait.
Come al solito tornai a Bagdad nell’ora più calda del pomeriggio. Aspettai a lungo l’autobus finché arrivò un double decker che sembrava andare senza autista. Vi salii e realizzai che invece era guidato dal solito minuscolo vietnamita. Raggiunsi Mimmo nel suo albergo. Mi disse che di colpo tutti i kuwaitiani che popolavano metà dell’albergo avevano fatto le valigie ed erano partiti in blocco, come spaventati da qualcosa di misterioso. Comprammo l’inutile Al Qadissiya, uno dei quotidiani di regime, ma ci sembrò comunque di capire che Saddam stava rivendicando i suoi diritti su una zona di frontiera contesa col Kuwait. Ci confermarono qualcosa del genere anche i nostri amici della croce rossa, durante una bellissima festa nel loro giardino di casa, ma noi non ci facemmo caso più di tanto, convinti del fatto che nelle zone petrolifere c’è sempre qualcuno che rivendica degli antichi confini. Raggiungemmo Mossul in autobus e visitammo i ruderi di Ninive, camminando fra una postazione militare e l’altra e spiegando ogni volta che ci fermavano cosa facessimo lì. Trascorsi anche un pomeriggio intero ad Hatra, da solo fra gli scavi archeologici, la sabbia e le tante statue di Ercole disseminate fra gli scavi. Poi andammo insieme ad Ammadia. Da lontano sembrava un paesino della Basilicata, che so, Oliveto Lucano. Lì trascorremmo la notte in una pensioncina in cima al paese ed al mattino prendemmo un taxi che ci portò fino a Shilardiza, decisamente più in là verso il cuore delle montagne curde.
Nel punto della confluenza di due bellissimi fiumi di montagna attraversammo un tratto di torrente gelido a piedi nudi per fare colazione su di un isolotto di ghiaia. Era un luogo meraviglioso! I piedi dei tavolini e delle sedie erano conficcati nella ghiaia. Tutt’intorno acque che scorrevano velocissime verso il fondo valle. Sopra le nostre teste una piccola tettoia di canniccio. Ci portarono un secchiello ciascuno di yogurt fatto dai pastori e pane paesano ancora caldo. Poi ancora tè bollente a volontà. Divorammo tutto, senza risparmiare il paesaggio clamoroso. Tutto intorno montagne per lo più brulle, ma alte e spettacolari, soprattutto per i colori e per l’intensità della luce. Riattraversammo il guado per riprendere il nostro taxi verso Ammadia e ad un bivio demmo un passaggio ad un curdo che faceva l’autostop. Era il due di agosto. “Dove vai?” – gli chiesi io. “Dove vuoi che vada? In caserma! Non sai che stanotte il nostro esercito è entrato in Kuwait? Siamo stati tutti richiamati!” Quando ci penso mi torna ancora il tremito che mi percorse in quel momento. Il tassista accese subito la radio e da quel momento non vi fu altro che un susseguirsi minaccioso di marcette militari e di proclami. Noi due tacemmo fino ad Ammadia e neppure proferimmo parola per tutta la strada fino a Mossul. Eravamo preoccupatissimi e volevamo notizie attendibili. All’ingresso di Mossul passammo per il bivio in cui, nella gigantografia di Saddam vestito di nero, il presidente somigliava tale e quale ad un enorme Dracula. Questa volta non ci venne da ridere. Corremmo all’albergo per precipitarci al posto telefonico. Dopo svariati tentativi riuscimmo a parlare con l’ambasciata italiana.
Il viaggio
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