Mestieri
dirigente d'aziendaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Stati Uniti d'America, Svizzera, FranciaData di partenza
1923Data di ritorno
1944Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Folgore Vella vive da ormai otto anni in Francia. Qui ha terminato le scuole si è iscritto all’università, dove segue con profitto la facoltà di giurisprudenza. Intanto suo padre Randolfo ha combattuto al fianco dei miliziani italiani della Colonna Ascaso, in Spagna; ha poi fatto rientro in Italia, nel maggio del 1940. Da lì a poco la Francia viene occupata dai nazisti, e l’Italia le dichiara guerra. La situazione degli emigrati italiani oltralpe precipita: anche quella degli esuli antifascisti, percepiti con ostilità tanto dai fascisti quanto dai francesi.
Erano appena trascorsi quattro o cinque giorni dall’occupazione tedesca quando ricevetti, portato a mano, un biglietto dello zio Nardo che mi chiedeva di raggiungerlo presso un negozio situato non lontano dalla stazione. Sorpreso di sapere lo zio a Lione anziché in Alta Savoia, mi precipitai all’indirizzo indicatomi. Trovai lo zio, stanco e dimagrito, in compagnia di un amico, anch’egli esule antifascista. Venni messo al corrente dell’incredibile avventura che era loro occorsa e che, per poco, non si era trasformata in tragedia.
La sera stessa della dichiarazione di guerra all’Italia, lo zio e questo amico vennero arrestati dai gendarmi francesi e messi in compagnia di altri italiani, nella maggior parte noti e accesi fascisti. L’indomani mattina, sotto scorta militare, furono avviati verso un campo di concentramento situato nel Massiccio Centrale, ad un centinaio di chilometri da Lione. In quel campo, lo zio e il suo compagno di sventura vissero giorni infernali sottoposti, da una parte alle angherie dei soldati francesi inferociti contro gli italiani che avevano “pugnalato la Francia alle spalle” e, dall’altra, alle accuse e alla ostilità degli internati fascisti che li insultavano quali “sovversivi traditori della Patria”.
La loro drammatica situazione si risolse improvvisamente quando le truppe d’assalto tedesche irruppero nel campo, misero in fuga le sentinelle francesi e decisero di liberare tutti i prigionieri. I fascisti italiani festeggiarono sguaiatamente l’arrivo degli “alleati germanici” e in vile accesso di servilismo e vendetta chiesero al comandante del reparto tedesco di arrestare tutti quegli internati che si erano dichiarati antifascisti. Fortunatamente per questi ultimi, l’ufficiale rispose che era un soldato, non un poliziotto, e che i suoi ordini erano quelli di liberare tutti gli internati. Mio zio ed il suo compagno non attesero oltre: lasciarono il campo immediatamente e, a piedi, percorsero parecchie decine di chilometri prima di trovare mezzi di fortuna che, di tappa in tappa, li portarono fino a Lione. Mi adoperai allora per consentire loro di proseguire verso casa dove avevano lasciato le famiglie in grande preoccupazione: vi arrivarono in un paio di giorni.
Lo zio non seppe mai le ragioni della sua disavventura e del perché, lui, esule antifascista, era stato considerato dalle autorità francesi un pericolo per la nazione che gli aveva dato asilo.
Il viaggio
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