Mestieri
musicistaLivello di scolarizzazione
diploma di conservatorioPaesi di emigrazione
ArgentinaData di partenza
1950Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Temi
lavoroTemi
lavoroAll’arrivo a Buenos Aires, Corrado trova una buona accoglienza e un primo impiego.
Dopo diciassette giorni di navigazione approdammo. Mentre ci accingevamo a sbarcare un altoparlante annunciò – in lingua italiana – che chi fosse risultato in possesso di un contratto di lavoro stipulato con il Governo argentino avrebbe dovuto ritenersi svincolato da esso e che avrebbe dovuto provvedere a soggiornare in quel paese ” ricorrendo all’iniziativa personale ” . Detto in poche parole, dovevamo arrangiarci.
Per me fu un grande sollievo: avevo il mio mandolino portafortuna, la mia vecchia e preziosa chitarra Balboni e possedevo anche la ragguardevole – per allora – somma di undicimila lire. Appena sbarcati, poiché nessuno sapeva dove andare, fummo condotti all’ “Albergo degli Emigranti ” : uno squallore assoluto, in confronto al quale i lager tedeschi erano alberghi a tre stelle, almeno. Non mi scoraggiai più di tanto. Tenni con me gli strumenti e depositai nei magazzini del porto il baule che conteneva il resto dei miei bagagli. I primi giorni li trascorsi vagando per le vie del centro di quell’immensa città. Ero felice e non sapevo perché. Con pochi pesos riuscivo a mangiare a volontà, nessuno mi fermava per strada, chiedevo informazioni in italiano ed anche “las cabecitas negras ” (gli Indios) mi rispondevano in italiano. Naturalmente dovevo decidermi a trovare un lavoro. Ebbi notizia di una falegnameria presso la quale lavorava un certo Eros Romagnoli, originario di Portomaggiore, dove c’era necessità di lucidatori di mobili e lì, vista la scarsa reperibilità di quel genere di mano d’opera, si sarebbero accontentati di assumere personale anche semplicemente per apprendistato, garantendo comunque fin da subito la paga sindacale. Raggiunta quella fabbrica chiesi del direttore che in quel momento stava parlando con una persona che – seppi in seguito – era suo fratello, e sentendoli capii che stavano conversando in tedesco. Quando il direttore si liberò e mi ricevette io gli rivolsi la parola servendomi di quel poco di tedesco che così utile mi era stato durante la prigionia in Germania. Dopo che gli dissi quanto sapevo fare e dopo avergli garantito tutta la mia disponibilità, fui assunto. Mi fu anche chiesto dove fossero i miei bagagli e mi fu addirittura offerto di alloggiare in una stanza che era situata all’interno del laboratorio e che avrei diviso con quel Romagnoli di cui già sapevo che lavorava lì e che proprio in quell’occasione conobbi. Con un camioncino della fabbrica ci recammo al porto per recuperare i miei bagagli , compresi naturalmente il mandolino e la chitarra. I miei datori di lavoro mi procurarono anche un letto completo di coperte e materasso ed un armadietto. I titolari di quell’azienda erano tre fratelli polacchi ed il “tedesco” che parlavano tra di loro era l’ “iddish” , una lingua utilizzata dagli ebrei in una regione compresa tra l’Olanda e la Russia. Successivamente seppi che i miei datori di lavoro erano ebrei fuggiti dalla Polonia con le loro famiglie, quando ebbero il sentore di ciò che Hitler aveva programmato e che si accingeva a realizzare.
Il viaggio
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