L’ultima notte a Tokyo

Tokyo ottobre ’88

Sono quasi le due di notte, la data è già vecchia. Ho messo le valige fuori dalla camera perché fra tre ore partiranno per l’aereoporto. Se mi affaccio al balconcino vedo il giardino del “Takanawa Prince” con la sua piscina illuminata e deserta. Prima che entrasse in camera anche la Clare ho fumato una foglia arrotolata, a Ginza vendono tutte le sigarette del mondo comprese queste che sono indiane e sanno d’incenso, lasciano nell’aria un profumo di tempio, così ho aperto la porta finestra in modo che la notte di questo primo ottobre si portasse via l’aroma della mia infrazione. Stasera, all’ultima battuta di Turandot, ci siamo alzati tutti quanti col crescendo e Maazel che non se l’aspettava pare abbia gradito la sorpresa. Poi si è scatenato un finimondo. Ai giapponesi piacciono i “sayonara party”, così all’ultima scena dell’opera hanno provveduto a far discendere sul palcoscenico una nevicata di triangolini di cartone luccicante avvolgendoci in una tormenta di riflessi colorati. Volendo essere critici il tutto ricordava più un finale hollywoodiano che un saluto augurale, ma l’aria malinconica che entra adesso dalla finestra con la luce fioca della città di là dal giardino mi fa rimpiangere il chiasso di poche ore fa. Forse sarei dovuta restare in teatro quando dicevano di voler spaccare la botte piena di sakè profumato alla rosa, ma avevo troppa fame e direi che quello che ho assaggiato ieri a Yokohama mi ha fatto girare la testa anche per oggi. Tra poco uscirò non ho voglia di dormire anche se domani farò i conti col fuso orario. Mi piacerebbe telefonare ai miei amici che restano qui per salutarli ancora, abbiamo cenato con loro e mai come stasera ci siamo accorti di quanto volentieri stessimo insieme. Forse però telefonare alle due di notte è da pazzi.