Mestieri
insegnantiLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Francia, Stati Uniti d'AmericaData di partenza
1938Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)La fuga di Carla e della sua famiglia dall’Europa del 1940, dalla seconda guerra mondiale, giunge all’ultima tappa. A Lisbona bisogna risolvere il problema dei permessi di imbarco per raggiungere gli Stati Uniti.
Dovevamo rimanere a Lisbona quattro mesi, un periodo di tempo abbastanza lungo da permetterci una pausa, una tregua. Ma nella mia memoria i quattro mesi sono un unico interminabile momento, carico di ansietà. La nostra stessa sistemazione all’Avenida Palace Hotel, lungi dall’alleviare l’ansia, l’accresceva. L’albergo dava su Praca Restauradores impregnata di sole, spazzata dal vento, e le nostre camere erano spaziose, veramente lussuose. Esse erano anche un’assurda perdita per le nostre limitate risorse finanziarie. Ma la speranza (a quel tempo la certezza) che i nostri visti per questo o quel paese fossero proprio a portata di mano ci impedì di cercare un appartamento, di raccogliere ancora una volta le nostre cose e di dare il via alle faccende domestiche. Invece ciascuno di noi cominciò a costruirsi il proprio nido personale che sembrasse duraturo nel mondo privo di durata intorno a noi. Mamma e Mamulia seguivano una routine di pasti, brevi passeggiate, sonnellini, che sembrava ristorare, se non la loro tranquillità mentale, almeno le loro energie fisiche. Anne portava le bambine più piccole al parco due volte al giorno, teneva in ordine le lo-ro cose, e provava grande soddisfazione nel criticare la cucina dell’albergo. Daniela andò all’Ecole Francaise de Lisbone” e sembrò non preoccuparsi molto di quanto le veniva richiesto, compreso lo studio del portoghese; qualunque cosa, a quel punto, era meglio che continuare a giocare con le sorelle! Alex e io impiegammo la maggior parte delle giornate nell’impresa a tempo pieno di cercare di trovare una soluzione permanente al futuro della famiglia. Avevamo trasformato la nostra stanza da letto in un ufficio, fornito di macchina da scrivere, cancelleria, telefono. Quello era il mio posto fisso.
Alex si lanciava intorno, andando a visitare consolati, commissariati di polizia, agenzie di viaggio … alla ricerca di un milione di cose: permessi di soggiorno, prove di cittadinanza, cambio di valuta, passaggi a bordo di navi … e’ così via. Noi eravamo su una di queste navi, la Nea Hellas, proprio pochi giorni dopo il nostro arrivo, per veder partire gli Strauss, amici la cui partenza ci rattristava, sebbene li avessimo conosciuti meno di una settimana prima. Ma il tempo sembrava avere sue leggi particolari, in quei giorni. Io non ero mai stata prima su un transatlantico di linea e, all’inizio, rimasi sorpresa che per molti versi esso fosse simile alle navi che avevo visto nei film. Soltanto dopo un po’ avvertii, con un brivido improvviso, che qualcosa era diverso. Non c’era lancio di confetti qui, non donne eleganti che aspiravano con aria estatica il profumo di bouquets di buon viaggio, non gente che sorseggiava champagne; la Nea Hellas trasudava cupa stanchezza. Era sufficiente leggere i nomi sulle spalliere delle sedie per capirne il perché. Rabinovitch, Weil, Fano, Arias … tutti fortunati; essi stavano partendo, e partendo in modo confortevole.
Che cosa, però, avrebbero potuto farsene dei molti salotti, della palestra, del bar, della piscina? Il loro viaggio era cominciato, non c’era via di ritorno, non c’era un faro davanti. Io mi ricordavo, con un senso di sollievo, che non sarei dovuta partire con loro, non avrei dovuto guardare in quegli occhi vuoti durante un lungo viaggio. Quando l’altoparlante annunciò “tutti i visitatori a terra”, io afferrai il braccio di Alex e mi affrettai verso la passerella. Questa fu, naturalmente, la prima partenza di profughi di cui fui testimone. Dovevo provare sentimenti diversi quando, essendo passato un po’ di tempo, la nostra situazione divenne più drammatica, il bisogno di fuga più pressante. In quelle prime settimane di settembre, potevo ancora permettermi di pensare che avrei potuto scegliere su quale nave partire, verso quale nazione andare. Volevamo andare negli Stati Uniti! E tutti i nostri sforzi in quel periodo erano ancora dedicati esclusivamente a quello scopo. Alex era andato a parlare con il Console americano varie volte e aveva tracciato una lista accurata di tutte le richieste ufficiali. Le richieste erano numerose, tutte tendenti apparentemente a provare l’attendibilità del nostro passato europeo come pure a dare una garanzia che non saremmo mai divenuti, negli Stati Uniti, un peso per la comunità. Tuttavia, essendo l’Europa in guerra ed essendo le comunicazioni in tutto il mondo malsicure, le difficoltà affrontate dai profughi in transito per ottenere i documenti loro richiesti erano talvolta quasi insormontabili.
Il viaggio
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