Mestieri
contadinoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1935Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo aver partecipato alla conquista dell’Etiopia, nel 1935-36, Domenico Comba è testimone anche della sconfitta dell’Italia nella stessa regione dell’Africa Orientale, nel 1941, per mano delle truppe anglosassoni. Comba è preso prigioniero.
Il mio battaglione restò ancora ad Assab fino alla fine del Febbraio 1941, poi venne l’ordine di evacuare e prendere posizione a Combolcià. Lì si organizzò una difesa sommaria aproffittando solo delle difese naturali, cannoni non ne avevamo più e il numero, degli uomini era molto esiguo. La capitale era già in mano al nemico che avanzava con la stessa forza e con la stessa velocità, come avevamo avuto noi nel 1935-1936. Il Duca d’Aosta si era ritirato sull’Araba Alagi per l’ultima resistenza. Noi venimmo attaccati il giorno 18 aprile 1941 da imponenti forze inglesi e sud africane. Ben equipaggiati cominciarono a batterci con l’artiglieria, con cannoni di grosso calibro; i nostri battaglioni cadevano in mano al nemico uno dopo l’altro: venimmo accerchiati. Il capitano Notargiacomo, che comandava la compagnia, aveva fatto l’adunata dei sottoufficiali dicendo di tenerci preparati per la resa, io preparai tutte le mie “cosette” più care, fotografie e altri ricordi, mi misi tutto da parte in trincea per portarmeli poi al seguito. Dopo quattro giorni i viveri e l’acqua venirono a mancare, da fuori non potevano più informarci, nel mio plotone eravamo solo due del corpo degli alpini, gli altri erano di tutte le armi e di tutte le età. L’alpino che era con me era veneto, pochi giorni prima era stato ferito leggermente all’orecchio destro. Vedendo non lontano il nemico diceva: ” Sergente Maggiore io gli sparo, devono levarsi il berretto quando vedono un alpino”. Gli dicevo “Hai ragione, ma non lo devi fare, la cosa sarebbe peggiore perché ormai ogni resistenza è inutile. Infatti il giorno 22 aprile 1941 di primo pomeriggio col megafono – in italiano – ci invitarono ad arrenderci. “Siete circondati, per evitare ogni spargimento di sangue uscite dalle trincee con le mani in alto, chi verrà trovato in possesso di armi sarà fucilato”. Il capitano a malincuore ci diede l’ordine di arrenderci, lasciando tutte le armi e l’equipaggiamento. Fu così che i miei ricordi tanto cari li lasciai ben impacchettati in trincea sulle alture di Combolcià, zona che cinque anni prima avevamo conquistato con tanti sacrifici. Uscimmo tutti con le mani in alto, con le armi spianate ci perquisirono per assicurarsi che non avessimo armi o bombe. Ci inquadrarono e ci portarono dietro alle loro linee di difesa. Ci misero in un recinto di filo spinato come se fossimo tante bestie, ad ogni angolo del campo una mitraglia pronta a far fuoco al primo cenno di disordine. Ci dettero un po’ di scatolame, una coperta e così passammo la notte. Il mattino seguente ci caricarono su un camion militare e ci portarono ad Adis Abeba. Il 26 aprile arrivammo nel campo di concentramento. In quel campo c’erano già molti prigionieri italiani ad attenderci, tutti ci facevano le stesse domande. “Da dove venite?” Tra questi incontrai il mio amico e paesano Castagno Tommaso con cui avevo fatto tutta la campagna del 1935-1936. Noi tutti a Bagnolo lo chiamavamo “Castagn el pulaiè”. Dopo l’abbraccio affettuoso, perché solo quando uno è lontano e in situazioni del genere l’incontro ha un significato enorme,’ è quasi indescrivibile. Mi sfamò, mi diede una macchinetta da barba, un pennello e poi non finivamo mai di farci domande a vicenda. Lui non era mai stato in licenza ed erano già sei anni che mancava da casa. La prigionia cominciava solo adesso potete immaginare che morale potessimo avere. Lì ad Adis Abeba ci fermammo qualche giorno poi formammo una colonna di automezzi e partimmo per Berbera, nella Somalia inglese. Noi due non ci separammo così il viaggio fu meno duro, perché sempre avevamo qualcosa da dirci, si ripassava tutto il passato, ma senza sapere che cosa ci riservasse l’avvenire. Arrivammo a Lafaruch il giorno 10 maggio 1941. Una zona tutta pianeggiante, c’erano solo sabbia e un sole cocente. Tommaso aveva un telo da tenda, ci servì per essere un po’ riparati dal sole, eravamo proprio sulla linea dell’equatore e i raggi erano a piombo. Era molto facile prendere un colpo di sole con gravi conseguenze. Lì ci davano viveri in natura, cioè ci dovevamo arrangiare, non esistevano cucine, eravamo divisi in squadre. Io, siccome ero sottufficiale avevo una squadra e andavo a prelevare i viveri con il mio elenco dei nominativi. Vi faccio un elenco di che cosa ci passavano al giorno: una scatola di latte condensato in sette, una scatola di marmellata in quattordici, un cucchiaino di riso crudo a testa, una scatola di carne in quattro, un pizzico di sale, un cucchiaio di strutto per il condimento del riso, una pagnottina di pane che si mangiava in due bocconi. Per l’acqua c’erano due serbatoi per i diecimila prigionieri con due taniche da quindici litri al giorno, ci mettevamo in fila indiana per riempire i recipienti ventiquattro ore su ventiquattro. Ci davamo il cambio, due ore per uno per arrivare ai serbatoi, poi capitava che i serbatoi erano finiti, allora si aspettava chissà quanto altro tempo. Non vi descrivo il servizio igienico! In poche parole si scavavano lunghi fossi profondi un metro. Lì, tutti allineati, in qualunque ora del giorno si andava a fare i nostri bisogni, e senza mai che mancasse la sorveglianza armata. Lì, in quelle condizioni bestiali passammo quaranta giorni, quella zona era chiamata l’inferno dei vivi, il sole era cocente senza ripari naturali, il vento soffiava portando sabbia, anzi nel periodo forte del monsone si formavano persino delle dune di sabbia, a mosche e pidocchi non facevamo più caso. Tommaso ed io rimanemmo insieme per un po’ poi ci separarono. Lui dovette partire per un trasferimento, questo mi è molto dispiaciuto, ma non potei farci niente. Intanto l’impero abissino crollava, i giorni erano contati. Il Duca d’Aosta si era ritirato all’Amba Alagi con un nucleo di forze per l’ultima resistenza. Il Gimma era caduto il 4 luglio segnando la resa di 50.000 uomini. Cessata la resistenza dell’Amba Alagi rimase solo più Gondar comandata dal Gen. Nasi che capitolò il 27 novembre 1941.
Fu l’ultimo tricolore che sventolò nell’impero africano.
Il viaggio
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