Mestieri
hostess di voloLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Stato di PalestinaData di partenza
2000Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Roberta Mugnai cerca di tracciare un bilancio del proprio vissuto, di quanto ha potuto osservare durante la sua permanenza a Hebron, coincisa con lo scoppio della Seconda Intifada nel 2000.
Non so se riuscirò a rendere un’idea di ciò che accadde a questa città già provata, descrivendo la desolazione, l’angoscia, l’inquietudine e il risentimento degli arabi di Al Khalil. Lo sgomento dei bambini, la drammaticità dei danni economici che ne derivarono, i coprifuochi, la chiusura delle scuole, della Moschea di Abramo, dei negozi comprese le farmacie, del Suq. Gli interminabili controlli ai checkpoints divenuti ancora più rigorosi e insicuri. La pericolosità dei gas lacrimogeni per le donne in gravidanza e per chi soffre di insufficienza respiratoria, le pur sempre mortali pallottole anche se di caucciù dei fucili dei soldati israeliani, gli scontri a fuoco notturni. L’impossibilità di passare i confini tra le due zone perché chiusi per raggiungere i parenti, i negozi, gli ospedali, i medici, il non poter raggiungere altre città. Il disagio di avere sul tetto della propria casa militari israeliani o il sequestro del proprio appartamento, addirittura lo shock per l’abbattimento della propria abitazione per security reasons. Infine, la rabbia di non essere in grado di poter reagire in eguale misura per combattere da pari a pari e non tra un esercito addestrato e una popolazione inerme e le sue Forze di Polizia insufficienti. E qui mi fermo perché non basteranno sicuramente tutte queste belle parole a far capire la devastazione che la seconda Intifada procurò alla Città Vecchia di Al Khalil e quanto soffrì la popolazione. La Zona H2, un teatro di guerra che continua tutt’ora, dimenticato, riportato alla ribalta solo di quando in quando, in occasione di lutti plurimi causati da ritorsioni di entrambi i belligeranti che, a distanza di più di mezzo secolo, cioè dal 1948 con la Guerra di Indipendenza, così chiamata dagli israeliani e Guerra di Palestina al Nakba (la catastrofe) chiamata, invece, in tal modo dai palestinesi e la “Guerra dei sei giorni” del 1967 ancora non hanno trovato un accordo, imboccato una via giusta, risolto problemi, deciso qualcosa di serio, mantenuto un solo accordo tra tanti proposti, ma solo vani tentativi, tregue e spiragli di pace miseramente falliti. Questa esperienza straziante della popolazione di Al Khalil, dolorosa e per me, tuttavia, di arricchimento spirituale, è una storia che ho voluto raccontare in queste pagine, storia che alla fine del mio mandato mi ha resa immune da miraggi idealistici.
A CP26 calò il sipario. La piazza divenne deserta sotto un cielo ancora terso, deserta e silenziosa, deserta e maleodorante come non era mai stata. Le giornate erano ancora calde e lunghe, ma quando la caluria scendeva, le notti divenivano fresche e secche.
Una settimana dopo l’inizio della seconda Intifada, ad Hebron era ancora Estate piena. Stavo osservando in via Al Shuhada, arrivata all’altezza del Cancello dei Polli fui costretta a mettere un fazzoletto davanti alla bocca e a chiudere i finestrini della macchina. Una puzza di marcio, un tanfo vomitevole arrivava dal Suq e dai pochi negozi che si affacciano sulla via. Il coprifuoco era ancora in vigore, non c’era nessuno per strada, i negozi erano chiusi. Ricordo di aver incrociato un fuoristrada del CICR (Comitato Internazionale della Croce Rossa). Mi fermai e senza scendere di macchina, discussi con i delegati del problema del coprifuoco, ormai era più di una settimana che era in vigore e dai negozi del Suq si sprigionava un odore di verdura marcia, un fetore di carne putrefatta. Pregai i due del CICR di prendere provvedimenti, se fosse scoppiata una epidemia gli abitanti della Città Vecchia ne avrebbero fatto le spese. Il coprifuoco ebbe termine, ma la Qasba non fu più la stessa, pochi gli arabi palestinesi per strada, pochi i negozi aperti, pochi i banchi di frutta e di verdura allestiti nel Suq. Chiuso definitivamente il mercatino dell’usato del Giovedì a CP Sierra 16, chiuso il piccolo mercato di stracci a ridosso del muro del cimitero islamico, chiusa la stazione dei bus palestinesi a CP26, chiusi i negozi di souvenir a CP Sierra 15, chiuso il mercatino in via Old Al Shallalah, quello vicino all’Iron gate, chiusa la banca in via New Al Shallalah, chiu-si gli accessi con la macchina alla Città Vecchia e tutto per security reasons. I coprifuochi comunque si susseguirono durante tutto il periodo dei miei due manda-ti, duravano uno due giorni o più. Incontravo i palestinesi fermi ai checkpoints in attesa di poter entrare in Zona H2, persone che avevano dei parenti, gli amici, i negozi da aprire, i contadini di villaggi vicini che avevano banchi di frutta e verdura da allestire, insomma persone con la necessità di entrare nella Qasba. Mi fermavano chiedendomi se il coprifuoco era finito, se potevano entrare e più di una volta, non fui in grado di rispondere, non lo sapevo neppure io, dovevo chiedere ai soldati israeliani. Osservammo i clashes per tutto il mese di Ottobre, diversi rivoltosi rimasero feriti. Passati i primi giorni, rimasero solo i ragazzini a lanciare pietre contro i militari israeliani. Ricordo che uno di loro, un temerario di circa nove, dieci anni, in via Old Al Shallalah, cantando e danzando spavaldamente lanciava pietre mostrandosi ai soldati e uno di essi, stanco di scansarle, puntò infastidito il suo fucile contro quell’incosciente che sembrava non temerli, temetti io per lui e molto. A distanza di un paio di mesi dalla “Rivolta” ai checkpoins i soldati divennero nervosi e stanchi, intolleranti e minacciosi. Per ore e ore stavano in piedi o inginocchiati dietro i blocchi di cemento con i fucili quasi sempre muniti di una prolunga sulla canna per spara-re eventuali pallottole di gomma. Ben equipaggiati, aspettavano e osservavano scansando le pietre che rotolavano alle loro spalle, ammucchiandosi sull’asfalto. Alla fine del loro turno erano al culmine della esasperazione e aspettavano il mezzo che li avrebbe riportati al compound militare. Un pomeriggio ricevettero la visita di un generale, rimase con loro per un bel pezzo incoraggiandoli a non perdersi d’animo poi, scortato, se ne andò. Per i soldati israeliani, talvolta, puntare il fucile contro un ragazzo armato solo di pietre era un dramma, infatti, un giorno, a CP Sierra 16, parlando con un militare mi disse: “questa guerra con i palestinesi la trovo assurda, non possiamo abitare entrambi questa terra in pace? La guerra non dovrebbe far più parte di noi giovani perché non la vogliamo”.
Il viaggio
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2000Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Roberta Mugnai
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