Mangiare sabbia

Mestieri
artigianoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
Palestina, Sud AfricaData di partenza
1940Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)

Tebaldo Giusti racconta la difficile vita nelle terre desertiche della Libia nel 1940 per i contingenti militari italiani impiegati sul territorio dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Il 10 settembre partimmo da Savona su un treno merci e impiegammo circa 36 ore per raggiungere Napoli. Ci imbarcammo dopo 3-4 giorni, e pur non avendo tanta biancheria intima, una canottiera la buttai in mare perché era piena di pidocchi! Sbarcammo a Tripoli la sera del 20 settembre 1940 e camminammo per almeno tre ore, carichi di quel poco di corredo e vestiti di panno di lana, con una temperatura di 35 gradi. Arrivammo tutti sudati, non avevamo certo voglia di fare la tenda e ci appoggiammo a delle palme. Rimanemmo lì per circa 10 giorni, vicino ad un cimitero e durante la notte sentivamo le nenie in arabo. Quindi lasciammo Tripoli. Prima tappa Homs circa 100 km di distanza. Strano! Pur essendo in Libia; oltre alle palme dei datteri, tutto intorno c’erano prati verdi. Sostammo il pomeriggio e la notte. 2° Tappa. La mattina dopo partimmo per Misurata, 160 km di viaggio. Dobbiamo considerare che i mezzi per trainare i cannoni, ossia trattori pavesi usati per arare il terreno, facevano 15 km all’ora, su strada asfaltata. A proposito di strada, quella che stavamo percorrendo era la famosa “Litoranea”, ben nota in quel periodo. A Misurata, trovammo una caserma vuota che divenne il nostro alloggio; ogni angolo era pieno di sabbia, quindi potete immaginare che bel riposo fu, con tutta quella sabbia addosso e senza mai lavarsi. 3°Tappa Sirte, circa 250 km di tragitto. Appena arrivati, nel tardo pomeriggio, pensai di andar fino al mare per lavarmi la faccia. Che bello! Finalmente dopo un’ ora di cammino, la mia faccia era lavata, chiaramente con acqua salata e senza sapone. Dopo oltre due soste raggiungemmo Lete (1030 km da Tripoli) qui rimanemmo 3-4 giorni. Lete era una piccola cittadina romana un po’ all’interno vicino Bengasi, dove andai insieme ad un amico, un paio di sere e dove trovai dei conoscenti anziani richiamati. La tappa successiva fu Bengasi Barce, restammo in questo villaggio costruito durante il fascismo per un mese. Qui come in Libia ed in Egitto eravamo ben visti dagli arabi poiché avevamo contribuito allo sviluppo, più dei colonialisti stranieri. Tornammo a Barce, qui eravamo accampati al di sotto della strada, il terreno era ricoperto dai bossoli di cartucce dei fucili “modello 91”; noi dopo 30 anni avevamo lo stesso fucile. Sembra che in questo luogo ci sia stata una battaglia nel 1911, durante la guerra per l’occupazione della Libia. Passavamo le giornate andando a fare visita a delle famiglie, molte delle quali erano venete, dato che ci trovavamo in una zona pianeggiante, la loro attività principale era l’agricoltura, nonostante le scarse piogge ed i raccolti miseri, l’acqua per esempio la portavano con l’autobotte. Oltre la collinetta, verso ovest abitavano altre famiglie italiane, che allevavano del bestiame (capre, pecore, vitelli). Dopo questa tappa rimanemmo per circa un mese, in una località chiamata Giovanni Berta, 200 km più avanti, verso Alessandria d’Egitto. Ci accampammo anche qui su una collinetta rocciosa. Prima di noi c’era stata una divisione di 10.000 persone che avevano costruito delle mura di pietra, quindi messo su un telo, avevamo già la camera pronta! Ogni mattina appena alzati prendevamo la coperta, ovvero il nostro giaciglio, la mettevamo sul muro e cercavamo di uccidere tutte le cimici. Il resto della giornata non c’era granché da fare e da vedere, il paese era circondato da rocce e cespugli secchi. Ma finalmente il 9 dicembre partimmo la mattina presto per raggiungere Tobruk il pomeriggio successivo. Qui eravamo nel deserto, un beduino che incontrammo, rivelò che lì non pioveva da 17 anni. Qui le condizioni erano ancora peggiori. Quasi ogni giorno, alla levata dal sole cominciava a soffiare il vento “Ghibli”, aumentando d’intensità fino a mezzogiorno e cessava al tramonto. Come si passava la giornata? Intanto ci costruimmo un rifugio, ci fu da lavorare un bel po’. Era roccia secca, per fortuna con qualche venatura di calce. Fortunatamente, un gruppo arrivato lì prima di noi, se la dette a gambe e lasciarono li picconi, badili e coperte che fecero comodo a noi. In quella zona eravamo in 36, 4 gruppi per ogni cannone. Quindi costruimmo 4 rifugi con 150 cm di pietra sopra la testa. Durante la giornata c’era poco da fare, prima di tutto dovevamo rimanere per forza sul posto, poi non c’erano mezzi per raggiungere la città di Tobruk, infine, essendo militari, ci sarebbe voluto un permesso per allontanarsi, quindi, fermi li a mangiare sabbia. Un giorno feci il bagno, nudo, gli altri giorni ci davano un po’ d’acqua, mezza salata, per lavarsi la faccia. Per bere un po’ meno. Una notte dovetti fare la guardia. Ero vestito con maglione e cappotto di lana. Ma non bastava, anche una coperta sulle spalle, ma non bastava per riscaldarsi. Per fortuna non eravamo in pieno deserto.
Il viaggio

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