Paesi di emigrazione
FilippineData di partenza
1962Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Pier Luigi Ricciarelli è un missionario salesiano e nel 1962 arriva a Manila per evangelizzare nelle Filippine.
Dell’arrivo a Manila ricordo la gran sorpresa di essere arrivato in un ambiente dove tutto, o quasi, era diverso. Mi ci vollero giorni o forse mesi per non meravigliarmi più di fronte agli uomini e alle cose appartenenti a questa nuova realtà. Solo la casa salesiana mi era familiare nel senso che vi si parlava per lo più italiano, vi si facevano cose consuete, vi aleggiava uno spirito che – nel bene e nel male – più o meno conoscevo. Per capire questo paese di migliaia di isole, di centinaia di lingue e di dialetti, di decine di credo religiosi, un po’ spagnolo, un po’ americano, un po’ indocinese dovetti aprire occhi, orecchi e la mente. Ricordo bene l’edificio in cui abitavo, un vecchio seminario in stile coloniale donato qualche anno prima ai salesiani dal cardinale di Manila, che morì poco tempo dopo il mio arrivo. Ricordo bene la mia stanza lunga e stretta, a sinistra il letto protetto dalla zanzariera, un tavolino da lavoro ed una sedia e, in fondo, la finestra scorrevole che dava su un cortile di cemento e che era priva di vetri: i quadratini all’interno di un telaio di legno, anziché di vetro, erano di “capiz”, infima qualità della madreperla. E topi di notte e scarafaggi giorno e notte. Passavo lunghe ore in questa stanza a studiare l’inglese che sarebbe divenuto prestissimo il mio linguaggio quotidiano. La lingua locale, il tagalog, che talvolta era persino proibito parlare nella scuola, l’avrei imparato successivamente se avessi voluto: per il momento era l’inglese che mi occorreva per esercitare… la mia professione. Se fossi arrivato nelle Filippine ottant’anni prima, sarebbe stato uguale, avrei dovuto imparare lo spagnolo, non la lingua locale. Avevo già le basi della lingua. Leggevo libri per ragazzi, romanzi già letti in italiano, che mi aiutavano ad ampliare il mio lessico. Riempivo di parole nuove i quaderni piegandone le pagine a metà per il lungo: da una parte l’inglese, dall’altra l’italiano. Prendevo anche delle lezioni che però non trovavo gran che utili con un libro di testo che parlava di pecore e di campi di grano invece che di riso, mais e banane. Ma ciò che sarebbe stato la mia vera scuola e il mio concreto quotidiano esercizio fu la decisione dei superiori che avrei dovuto insegnare religione nelle sei sezioni di una stessa classe elementare.
Il viaggio
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