Paesi di emigrazione
SpagnaData di partenza
2014Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Giacomo Postinghel è arrivato a metà del cammino che ha intrapreso dal confine tra la Spagna e la Francia, per raggiungere Santiago Di Compostela. L’obiettivo raggiunto lo induce a stilare un primo bilancio dell’esperienza.
25 settembre 2014 — giorno 13 di cammino
La forza di gravità è un’invenzione di chi vuole tarparti le ali La Terra gira ed io con lei
Un timido ragazzo con uno zaino in spalle diverso dal nostro ci osserva assonnato e stupito. Vede questi titani, con la barba e il bastone, disposti a lasciare tutto per inseguire la propria meta. Perché non parti anche tu raga77o? Che cosa aspetti a realizzare i tuoi sogni, che di certo non ti mancano anche se chi non ha avuto coraggio cerca di seppellirli. Se rimani fermo ancora un po’ al posto dello zaino avrai la ventiquattrore e ti ritroverai nei panni del professore che tanto odi. Perché non ti muovi? Non dare la colpa alla forza di gravità, perché la Terra gira, allora gira con lei. Non chiudere gli occhi quando brillano le stelle e non girarti dall’altra quando la luna ti porge la sua faccia luminosa. Fuori Burgos un cartello indica una deviazione del Cammino per lavori in corso. Lì sta appostata una vivace signora che consiglia ai pellegrini di percorrere la strada classica, ci si passa comunque e si evita di fare chilometri in più. Faccio fatica a tenere il bastone, non sono abituato. Giacomo lo elogia, è un simbolo del pellegrino, la terza gamba che rappresenta la Trinità. La Provvidenza — quella che io chiamo karma — provvede anche per lui, che ha ceduto le bacchette da trekking a Giorgia, facendogli trovare un bastone in un cespuglio. Bastone che intaglia e modifica. Inizio a prendere confidenza anche con il mio, diventa un valido appoggio. Eccola la prima grande vera meseta. Un paesaggio desertico, da far west, con solo due colori: il giallo sotto e l’azzurro sopra. Il vento fresco, che stempera il sole, fa sì che in cielo non si veda una nuvola. Tutt’attorno nulla, ti senti disperso. Nessun paese all’orizzonte, solo tralicci della corrente e pale eoliche in movimento, nessun animale, qualche covone di grano, un paio di alberi solitari, un aratro. Le stoppie bruciate dal sole formano un mare ondulato in cui scorre il fiume della strada, quasi come se io con il mio bastone mi aprissi un varco fra le acque. A rompere l’incanto della solitudine, una comitiva di pellegrini rumorosi, e non riesco più a sentire il silenzio del vento. Compaiono in lontananza le case di Hornillos ma non si sa quanto effettivamente manchi, è difficile calcolare le distanze in un paesaggio del genere. Arrivati, gli stanchi cowboy si prendono un panino. La signora accanto a me sulla panchina mi propone un brindisi con le lattine di birra. Io le rovescio addosso la mia. Cerco di scusare in tutti i modi e in tutte le lingue la mia figuraccia, ma lei sembra più divertita che offesa, tanto che mi vuole addirittura offrire parte della sua birra per ripagare quella versata. La radio passa i Dire Straits. Ecco un’altra mia imposizione in questo viaggio che sono tentato di togliere. La strada è lunga e i chilometri messi alle spalle sono già tanti. Sento il muscolo della gamba sinistra tirare, come una settimana fa. In cerca di uno spirito più autentico del Cammino, avevamo pensato di allungare la tappa verso un piccolo rifugio spartano, essenziale, che però ora non posso raggiungere. Ma sulla guida è segnato un altro albergue 5 chilometri prima della meta dai più raggiunta che sembra fare al caso nostro. Difatti Giacomo e Giorgia si fermano con me, Claudia e Annalisa sono già più avanti. Arroyo San Bol. Un’oasi di vegetazione in mezzo al deserto. Un solo edificio, l’unico che si scorge in tutta la vallata. Salutiamo Vanni intento a scherzare con un gruppetto di coreane in gramelot. Solo un bagno con un’unica doccia, una decina di posti letto in una stanza con il soffitto di legno e i muri in pietra viva. Nel bel mezzo della meseta. Si può mangiare solo qui e la cena è alle sei e mezza. Paella — per me tortilla. Sotto gli alberi sgorga una fonte d’acqua gelida, nella quale bisogna immergere i piedi se si vuole arrivare fino a Santiago. È un gran tonico. Giacomo moltiplica il sapone come Gesù coi pani e i pesci, tagliando la saponetta in tre parti. Ne cede una a me. Tira un forte vento ma si sta benissimo. Non c’è la luna e le stelle brillano indicando la via per Santiago de Compostela, campo stellato. Sfoglio il quaderno su cui i pellegrini di passaggio lasciano pensieri. Leggo quelli italiani. Mi stupisco di quanti siano venuti qui in viaggio di nozze. Accanto alle firme spesso sta scritto “namaste”, parola incisa anche nel cemento di fronte alla porta. Penso più con rammarico che con soddisfazione di essere quasi a metà del Cammino. Cambio lato della sovracopertina della guida perché abbiamo passato la metà del libro.
Il viaggio
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