Mestieri
minatoreLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1951Data di ritorno
1953Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)In Belgio, a Liegi, Rossetti prende possesso di un angolo di un seminterrato abitato da minatori ed operai da mezza Europa.
La cantina era abitata da italiani, tedeschi, polacchi, russi e spagnoli; però sembrava abitata solo da italiani, tanto bene bestemmiavano nel nostro idioma. […]
Gli italiani si dividevano tutti in clan regionali, specie i sudisti. Per il nordista era questione di comodità. Comunque nella mia stanzona eravamo in sette disposti a cerchio, e in mezzo la stufa sempre piena di carbone. Serviva anche per buttarci le bottiglie di birra vuote, che poi al mattino si buttava via il blocco vitreo. In fianco a me a destra Rino Gamba di Treviso un bestione grosso e bravo. Unica sua preoccupazione il dormire, mangiare e mettere via soldi per farsi la casa e sposarsi. Faceva il contadino a mezzadria nel suo paese fuori Treviso. Decise di venire in miniera quando conobbe la Clara, un donnone come lui e nera come un’abissina. Pensava sempre a lei anche nel sonno perché quando beveva troppo la chiamava e piangeva come un bambino. Era lì da un mese, ma aveva lavorato poco causa il «grev» (sciopero). Riceveva sempre posta. Un giorno una cartolina, e un giorno una lettera. Le cartoline erano tutte simboliche, lucide e colorate. Qualcuna raffigurava un bello, tutto leccato, seduto su una barca che faceva la serenata a una donna che girava gli occhi estasiata e pudica, come per dire, ah non me la rompere. […] Periodicamente inviava un mazzolino di mona profumata. Lui se la metteva sotto il naso fino al mattino e poi con cura nel portafoglio. Levava il vecchio e lo catalogava. Sembrava il cassetto di un parrucchiere.
Faceva l’aggiustatore. Valeva per trasportare tubi pesanti dell’aria compressa.
Nell’angolo c’era Aldo Belli di Udine alto più di uno e novanta e con voce da bambino, era il nostro divertimento. Non si arrabbiava mai, aveva quarant’anni ed era scapolo. Che fosse pederasta non lo si poteva dire perché quando veniva una donna a scopare, la divorava tutta in un baleno con l’occhio. Sì, perché l’altro lo socchiudeva, per gustarla meglio. Io esperto di coppa lo giudicai uomo. Anche lui faceva il contadino.
Tutti gli altri erano lì da poco ed erano tutti manovali. La nostra era l’unica stanza indipendente da stranieri e in seguito venne battezzata Montecitorio.
Parlare di Montecitorio è tempo sprecato. In salone c’era animazione per una partita a carte movimentata. Scelsi un posticino e mi sedetti a fianco di tanta animazione. Era un poker internazionale fatto da quattro elementi di pietra ognuno di una nazione: Italia, Germania, Polonia e un marocchino. Mi colpì il marocchino perché aveva i capelli rossi. Si chiamava Caja. Il tedesco Steiner, il polaco Johanes e l’italiano Giovanni. Erano i più formidabili giocatori di poker che io avessi mai visto. La lingua era solo quella del poker. […]
Erano quattro assi anche in mina ed erano i più pagati. Di loro me ne dissero tante che stentai a credere. Mi dissero che Giovanni era alcolizzato, ma che quando era con il carbone lo trattava con i fiocchi. Erano cinque anni che era al filone. Veniva da San Pietro Natisone e parlava cinque lingue. Lo chiamavano anche Baffo per i suoi baffoni alla Guareschi. Dimostrava quarant’anni e ne aveva ventinove. […]
Di soldi ne pigliava parecchi, ma li beveva e giocava tutti. Guadagnava in un giorno quello che gli altri guadagnavano in una settimana, perciò poteva permettersi di lavorare tre giorni, e tre giorni dormire e bere. Mi chiese quanti anni avessi. Risposi «quasi ventidue». «Sarai il più pollo della mina. Anch’io avevo circa la tua età. Sono cinque anni che sono qui e ormai i sacchetti [i polmoni, Ndr] sono pieni. Chi lavora cinque anni al filone, vive poco e perciò ti consiglio di filare prima ancora di firmare». Gli dissi che era matto e che a tornare non ci pensavo nemmeno. Mi diede un pugno nella bocca e se ne andò.
Rimasi seduto a pensare che troppi ormai mi rompevano le tasche perché tornassi. Mica sarà l’inferno. Io credo: lo fanno loro, lo farò anch’io.
Il viaggio
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