“Motivati ma provati”

Madaplathuruth (House of Fraternity), 20 novembre 2002, 24 ora locale

Il tema della dignità è centrale in questo popolo. Essi salutano senza dare la mano, ma congiungendo le mani sul petto e inchinando la testa con la parola “nemastè”; in questo modo essi salutano la divinità che è nell’altro. Per tale ragione l’altro è sacro, in particolare l’ospite. È agli antipodi della posizione individualista occidentale, che ha dato il massimo nel comandamento evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”, dove la misura è “te stesso”, cioè l’individuo da cui si deduce l’atteggiamento verso l’altro. Così le differenze sono annullate, per il rito indiano le differenze sono sacralizzate. Troviamo qualcosa di simile nella sacralità dell’ospite delle civiltà mediterranee antiche. Mentre eravamo all’ospedale di Lourdes di Cochin a fare il corso, quello sulla depressione e il suicidio, si è impiccato un amico del nostro autista perché la polizia lo aveva fermato per una notte con un’accusa ingiusta. Il tasso dei suicidi in Kerala è il più alto dell’India, che è uno dei più alti del mondo, pari a 26,3 casi ogni 100.000 abitanti per anno, molto elevato a paragone dei tassi occidentali (13 a 100.000). Questa è la ragione del corso che stiamo facendo a 25 operatori dei servizi sociali della diocesi, che fanno capo all’Ospedale di Lourdes. Qui c’è una sola psichiatra, che fa prevalentemente laison-psychiatry e che ha un piccolo reparto di 15 letti. A suo avviso ha solo la possibilità di prescrivere farmaci. L’idea è connettere ospedale e territorio con il metodo psicoeducazionale, cioè educando le famiglie a far fronte ai disturbi psichici, in questo caso la depressione, e quindi a mobilitare le proprie risorse e la capacità di risolvere in proprio i problemi. I feedback sono positivi, ma le difficoltà riguardano il corso più inteso sull’alcol della prossima settimana: gli indiani con i loro ritmi lenti sopporteranno 50 ore di lavoro su 5 giorni? I ragazzi sono piuttosto impegnati. C’è stata una crisi di Chiara alla prima uscita nei villaggi per il lavoro di verifica delle famiglie dei bambini adottati a distanza, che vivono in una miseria nera e sconvolgente. Si è sentita impotente, ha pianto, ieri voleva tornare a casa, oggi ha solo pianto al ritorno dal giro. Poi abbiamo fatto un incontro di gruppo per sostenerla: i suoi sentimenti sono comuni a tutti noi, lei è solo la più piccola. Chiara e Francesco sono di buon appetito e Franci sembra avere recuperato il regolare ritmo sonno-veglia. E’ su di morale e sorridente. Scherza con le suore, tutte molto giovani, che sono anche nostre corsiste. Il clima della missione è allegro ed ispirato alla letizia francescana. Suor Mariangela, la fondatrice, è una donna sarda della nostra età motivata, aperta e tollerante con una sua storia umana, che si capisce dalle sue parole e dal suo modo di pensare ed agire. La sua scelta di essere suora è maturata da adulta. Io insegno la mattina con Carla al Lourdes Hospital e il pomeriggio preparo i lucidi in inglese, perché così ha chiesto il direttore dell’ospedale, Padre Francisco Xavier. Lavoriamo fino a tarda sera. Ora mi si chiudono gli occhi dal sonno. Siamo compatti, motivati, ma piuttosto provati.