Mestieri
perito agrarioLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
MozambicoData di partenza
1978Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Fine anno del 1977. Roberto lascia l’Italia per il Mozambico, dove ha trovato un impiego da cooperante. Sa pochissimo del Paese in cui si appresta a vivere, neppure come si scriva esattamente il nome.
Sarei partito per primo e solo a sistemazione avvenuta í miei mi avrebbero raggiunto. Qualcuno mi diede l’indirizzo di un certo Dino che viveva a Maputo dall’indipendenza. Compagno della prima ora, aveva collaborato con il movimento di liberazione (F.R.E.L.I.M.0.) dando rifugio ed appoggio in Italia ad esponenti mozambicani. Gli scrissi per avere informazioni su di questo paese che praticamente conoscevo solo per alcuni stringati articoli di cronaca.
Dino non mancò di rispondere alla mia richiesta d’informazioni, nata sopratutto dalla preoccupazione di poter soddisfare le necessità pratiche che avrebbe avuto mio figlio. La sua lettera mi arrivò a pochi giorni dalla mia partenza e mi lasciò allibito. Facendomi subito notare che Mozambico si scriveva con una sola z, non con due come io, povero ignorante, avevo scritto, liquidò con poche righe la mia sete di notizie dichiarando: “non ti preoccupare qui è stata instaurata la dittatura del proletariato, meglio di questo non puoi attenderti”. Sapendone meno di prima, anzi un po avvilito per aver fatto quella brutta figura sulla z in più, ruppi ogni indugio e terminai la preparazione dei bagagli. Confidando, più che sulla dittatura del proletariato, sulla mia esperienza giovanile nei boys scouts, sulla fortuna che aiuta gli audaci e gli incoscienti. In verità feci un ultimo tentativo che risultò estremamente rassicurante, telefonando ad Arsenio, responsabile dell’Ufficio Estero della Lega e nostro “reclutatore”. Questi mi disse: “laggiù troverai senza problemi tutto quello che è considerato di prima necessità, non devi assolutamente preoccuparti! E, con voce ispirata, soggiunse: “pensa, la provincia di Maputo è ricchissima di uliveti e vigne…”, che culo ragazzi, pensai tra me e me, avrei trovato addirittura il nostro mediterraneo olio d’oliva e dorati grappoli d’uva. Ripensandoci non posso non essere grato al buon Dino che, non dandomi nessuna notizia, non mi aveva raccontato cazzate. Arsenio invece me ne aveva raccontate parecchie e continuò cosi per i due anni successivi. Perché, come avrete ben capito, laggiù non c’era nulla, proprio nulla, tantomeno gli uliveti ed i vigneti.
Giunse infine il trenta dicembre. All’alba di quel giorno, che ricordo perfettamente, salutai suoceri e genitori, tutti particolarmente commossi per la mia partenza. Gli amici li avevo già salutati qualche giorno prima, increduli, convinti che stessi continuando con le mie dichiarazioni periodiche di una partenza che non sarebbe mai avvenuta. Paola e mia madre, quest’ultima in ferie natalizie dalla Svizzera dove lavorava, bel regalo di Natale le facevo, mi accompagnarono alla stazione ferroviaria di Falconara Marittima. Li, piede sulla predellina, “ultimo addio all’emigrante che parte per le Americhe”, un fiume di lacrime bagnava le guance di mia madre, mai abituata alle partenze dopo anni di spola fra l’Italia e la Svizzera. Con in corpo un magone terribile, cercavo di farle coraggio dicendole che ci saremo rivisti presto e non c’era nulla da preoccuparsi, ma con scarso successo. Vissi dei minuti di vero panico quando il treno cominciò a staccarsi dalla banchina. Stavo partendo verso una destinazione che mi era completamente ignota, una realtà che non riuscivo ad immaginare se non con tanti dubbi e tante incertezze, lasciando dietro di me le persone più care, quelle a cui volevo più bene. Alla lega incontrai Galbani che m’illustrò con fare sicuro l’organigramma dei tecnici che erano sul posto, ruoli e mansioni. Badando bene ad indicarmi chi era “compagno” e chi no. Mi segnai, come un allievo diligente, tutte quelle notizie su di un foglio che riposi con cura fra le mie carte. A parte i nomi, tutte le altre informazioni si rivelarono assolutamente campate in aria. Nel tardo pomeriggio, ricevuto il biglietto, mi recai all’aeroporto ed alle ventiquattro ero in volo verso l’Africa, prima tappa Lusaka in Zambia. Il vecchio DC8 era pieno zeppo di turisti chiassosi che andavano a passare le vacanze di fine anno ai tropici. Verso l’una e mezza di mattina, spensero le luci per farci dormire. Stentai a prendere sonno per la forte tensione nervosa accumulata ed anche per il fatto che eravamo stipati come sardine. Ma ero appena riuscito ad addormentarmi che, in perfetto orario, il nostro aereo atterrava nella capitale zambiana dove saremmo rimasti in transito fino alle diciannove.
Lusaka è una classica città coloniale all’inglese, con il centro formato da una lunga e larga strada principale fiancheggiata da palazzi e grattacieli, che ospitano ambasciate, ministeri, banche, uffici vari. Il resto della città è un reticolo di viali con case e villette ad un solo piano o, come nei quartieri “popolari”, capanne e baracche.
Il viaggio
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