Mestieri
musicistaLivello di scolarizzazione
diploma di conservatorioPaesi di emigrazione
ArgentinaData di partenza
1950Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)È il 1950, Corrado non riesce a trovare lavoro da musicista nell’Italia repubblicana. Non gli resta che accettare di emigrare: in Argentina, gli dicono all’ufficio emigrazione, cercano mosaicisti.
Decidendo di non schierarmi a favore di nessuno dei partiti politici emergenti, mi risultò impossibile trovare un lavoro. Il mio mantenimento perciò era a carico di mio fratello che nel frattempo si era sposato e che quindi doveva pensare alla famiglia che si era creato, anche se continuava a vivere insieme ai nostri vecchi. Mia madre, non avendo più il negozio, gravava sullo scarso bilancio della famiglia. Io riuscii ad essere assunto in occasione di alcune campagne saccarifere ma nonostante ciò, più che essere insufficiente, il mio apporto economico era addirittura quasi umiliante, tanto era modesto.
All’Ufficio Provinciale del Lavoro – a cui mi presentavo quasi quotidianamente – Edgardo Poggipolini, che ne era funzionario, mi fece capire che se avessi voluto lavorare, senza attendere altro tempo, avrei potuto – se non addirittura dovuto – far domanda di emigrazione verso l’Argentina, dove risultava ci fosse richiesta di mosaicisti (proprio mosaicisti, non musicisti ? – pensai io – ). Il governo argentino avrebbe offerto agli aspiranti artigiani, oltre al lavoro, il biglietto per il viaggio di andata. Mi consultai con la mia famiglia ed in particolare con la mia fidanzata, che avevo conosciuto durante una festa danzante dell’orchestra. Ebbi il consenso di tutti, tanto più che progettavo – una volta stabilitomi in Argentina — di procurare la documentazione necessaria per farmi raggiungere dalla mia fidanzata. Ma tornando alla mi attività di … artigiano, io, di mosaici non ne avevo mai fatti, e la richiesta era precisamente di “pavimentisti mosaicisti”. All’Ufficio Provinciale del Lavoro mi consigliarono di prepararmi teoricamente, quindi acquistai un trattato relativo a quel tipo di lavoro -ricordo ancora che era edito dalla Hoepli – e lo imparai quasi a memoria. A Ferrara fui sottoposto al giudizio di una commissione esaminatrice governativa, che doveva verificare le mie capacità di pavimentista, dalla quale fui giudicato idoneo, poi partii per Genova, dove un’altra commissione, questa volta argentina, mi sottopose ad un analogo esame, che superai. Era il Giugno del 1950 e la partenza per l’Argentina era imminente ed i miei amici orchestrali, al momento del congedo, erano tutti commossi, e non mancarono di dimostrarmi tutto il loro sostegno e addirittura fecero per me una colletta che raggiunse la somma di undicimila lire: per quei tempi una fortuna! Alla partenza, oltre al mandolino, il grande protagonista di questa mia storia, avevo con me anche la gloriosa chitarra Balboni. Naturalmente gli strumenti musicali non li relegai nelle stive del piroscafo, ma me li portai in cabina. Quando la nave, la “Buenos Aires” , salpò, io ero appoggiato alla sua murata e lì rimasi guardando l’ultimo promontorio ligure scomparire. Un strano senso di allegrezza mi pervadeva, insieme ad una sorta di rabbia mescolata all’indignazione. Accanto a me un mio compagno di viaggio, di nome Tartari , che era stato costretto alla mia stessa scelta, mi chiese : “perchè non ci siamo schierati politicamente secondo ciò che il buon senso ci avrebbe suggerito” … schierarsi… ? … quando non avevo ancora vent’anni mi era stato imposto di schierarmi, benchè non fosse giusto, e quando mi fu di nuovo chiesto dai miei carcerieri nazisti, davanti a quegli inquietanti reticolati del lager, di nuovo rifiutai, per non venir meno a quel poco di coerenza che la mia ignoranza delle cose della politica mi suggeriva, ed ora, da uomo liberato avevo ancora scelto secondo quei principi che mio nonno Giuseppe mi aveva insegnato quando io, ancora bambino, lo vedevo fingersi malato per non votare su quell’unica scheda l’unico simbolo che il regime di quel tempo imponeva.
Ormai l’ultimo lembo di Italia era scomparso e insieme agli altri compagni “di esilio” mi aggiravo sulla passeggiata del bastimento. Era previsto che sulla nave fossero imbarcati seicento passeggeri, ma a bordo eravamo solo la metà. Ora si trattava di trovare il modo di distrarci. Ovviamente cominciai a chiedere in giro se ci fosse tra i passeggeri qualcuno che sapesse suonare o cantare. Fortunatamente fu possibile costituire un gruppo di strumentisti e trovammo anche un cantante.
Il viaggio
Mestieri
musicistaLivello di scolarizzazione
diploma di conservatorioPaesi di emigrazione
ArgentinaData di partenza
1950Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Corrado Celada
La festa dell’equatore
A Las Palmas, quando facemmo scalo alle isole Canarie, si aggiunse al nostro gruppo una ragazza...
Lucidatore di mobili
Dopo diciassette giorni di navigazione approdammo. Mentre ci accingevamo a sbarcare un altoparlante annunciò - in...
Un’occasione mancata
Dato che tutti i pomeriggi acquistavo "la Razòn" - il giornale del pomeriggio - , mi...
La festa nella pampa
Eravamo una cinquantina di ospiti di un famoso personaggio di origine italiana che dirigeva una rivista...
“La solita Italia”
Nel frattempo io avevo ripreso la mia attività, sia come orchestrale che come lucidatore, perciò mi...