Mestieri
educatriceLivello di scolarizzazione
diploma magistralePaesi di emigrazione
FranciaData di partenza
1932Data di ritorno
1939Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)I genitori di Mafalda, spinti dall’aggravarsi delle condizioni di salute del padre, hanno fatto ritorno in Trentino. Mafalda è rimasta a Nantes, dove lavora come bambinaia presso una famiglia che la vessa e sfrutta per pochi franchi di paga. Ha solo quindici anni.
I miei genitori mi scrissero che dovevo prepararmi a rientrare perché avevano preso contatti con una contessa di Milano dove io avrei potuto fare la dama di compagnia. Li lusingava lo stipendio altissimo che ma non si rendevano conto che non avevo ancora 16 anni e che non avrei ricevuto, vestiti, scarpe e tutto quello che sarebbe servito per un impegno cosi gravoso. Io avevo accantonato tutti i miei stipendi per portarli a loro in Italia. Ero chiusa, confusa, ed ormai non parlavo bene l’italiano. Quindi risposi decisamente che non sarei partita. […]
Gli amici di papà quando il passaporto di Cleo fu pronto la raccomandarono ad una famiglia che conoscevano e finalmente rientrò assieme a loro in Italia. A Brescia la prelevò una signorina di un paese vicino che la mise sulla corriera che arrivava anche a Roncone. Quale fu la gioia della Mamma nel ritrovare la sua piccolina! E quale fu quella di Cleo nel riabbracciare finalmente la sua Mamma! Tutta la gente che era presente al loro incontro si commosse. Cleo non parlava più italiano ed io penso che la solitudine sopportata in Francia l’abbia traumatizzata. Quelli, però, non erano tempi di psicologi..
In quanto a me, un giorno arrivò a casa Gouret un avviso a grandi lettere. L’Italia voleva fare rimpatriare tutti i suoi figli. C’era il viaggio gratuito, ed un premio in danaro a chi rientrava. Avvisai Madame che me ne sarei andata a giorni, ma stavolta non mi picchio, temeva forse una denuncia? Mi disse: “Proprio ora che sei diventata brava?”. L’avrei schiaffeggiata! Mi dispiaceva solo per il mio piccolo Marco con gli occhi azzurri.
Ogni tanto penso a lui. Naturalmente non mi riconoscerebbe, è passato tanto tempo ed i bambini dimenticano facilmente. Chissà che sorte gli sarà toccata! Durante la guerra seppi che Nantes venne rasa al suolo dai tedeschi. E lui sarà stato arruolato?
I dipendenti della Casa d’Italia ci diedero biglietti, passaporto ed un assegno della Banca d’Italia. La mia valigia era leggera perché avevo con me poche cose, e con il mio gruzzolo ben nascosto mi trovai alla stazione con diversi altri connazionali. C’era un treno riservato ai soli italiani, e come ci avevano consigliato partimmo in silenzio. I francesi in quel periodo non amavano gli italiani perché li consideravano traditori, anche se con noi se ne andava la manovalanza. Io mi trovai in uno scompartimento con una famiglia veneta molto cordiale: invidiavo il fatto che fossero riusciti a restare uniti, una cosa che mi mancava da impazzire. Verso sera arrivammo a Bardonecchia. Veloce come il vento arrivò una littorina.
Ne scese Mussolini con un codazzo di gerarchi tutti impettiti. A scuola avevo visto le foto che lo mostravano come un alto ed imponente, invece vidi un uomo di media statura pallido con un volto flaccido. Comunque ci divisero in due file. Noi giovani davanti e gli altri dietro. Facemmo il saluto romano come si usava allora e Mussolini ci fece un piccolo discorso dicendo che l’Italia aveva bisogno delle braccia dei suoi figli. Mise a quelli che erano in ma fila una coccarda tricolore sul petto, la mise anche a me e velocemente, come velocemente era arrivato, se ne andò con la sua littorina. Era il gennaio del 1939, e forse era oberato da grossi problemi politici. Quando attraversammo la frontiera da tutti i finestrini uscirono le bandiere tricolori al grido di “Viva l’Italia!” Dove fossero quelle bandiere in Francia non l’ho mai saputo. Tutti cantavano la canzone “Viva l’Italia dall’Alpi al mar, chi ti conosce ti deve amar”. Cantai anch’io benché avessi un groppo in gola pensando alla situazione della mia famiglia.
Arrivammo a Genova dove fummo accolti da musica ed hostess che ci porgevano biscotti, bevande calde e ci stringevano le mani. C’era un turbinio di persone felici che si ritrovavano. Penso che ci avessero diretti a Genova per convogliare le persone verso le loro località d’origine: chi al sud e chi al nord. Un gruppo partì per Milano, e cosi anch’io. Da lì qualcuno andò a Brescia, e qualcun altro nel Veneto. Io, unica trentina, fui accompagnata dalla hostess all’Hotel Corona di Brescia dove mi vennero date le direttive ed il biglietto per prendere la corriera per Madonna di Campiglio. Fra le lenzuola fresche di bucato, un bel bagno ed un letto confortevole mi addormentai subito con il sonno degli adolescenti.
La mattina dopo alla stazione delle corriere fui puntuale. A quei tempi viaggiavano poche macchine e le corriere erano zeppe di gente che andava a Brescia a lavorare. Mi sedei in un angolo appartato e fra il vociare delle persone sentii un gruppo di uomini che parlavano di politica: “Gli italiani sono dei lavativi”. Non intervenni per la mia timidezza, ma pensai: Vi farebbe bene un po’ di estero, specialmente in Francia!
Il viaggio
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