Mestieri
sacerdoteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
CamerunData di partenza
1980Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Temi
festivitàTemi
festivitàSi avvicina il Natale del 1980: Angelo Daddio, sacerdote di origini campane, è in Africa per una missione. Il buon clima delle festività è funestato dalle notizie che gli arrivano dall’Italia: la sua terra, poche settimane prima, è stata devastata dal terremoto dell’Irpinia e Angelo commenta le sporadiche notizie in merito che gli giungono da casa.
24/12/80
Carissimi papà e mamma, nell’attesa della messa di mezzanotte è più che giusto che passi qualche momento con voi. Non ho scritto prima, come avrei dovuto, perché ero sempre in attesa di ricevere notizie dall’Italia, soprattutto dopo il terremoto. Solo ieri in pratica mi è arrivata la prima posta da Frascati, da Mario e Caterina, Giovanni e Magda. Notizie più precise di voi me, le ha mandate P. Aniello di Cervino, che mi scrive che vi ha visto. Non è che avessi paura che fosse successo qualche cosa di grave, ma mi ero un po’ impressionato quando ho saputo, una decina di giorni fa, che la Scuola Apostolica era stata praticamente distrutta. Ora non so se ci sono stati danni materiali a casa nostra e alle case di tutti i nostri parenti ed amici… ma i danni un po’ alla volta si aggiustano. Ed anche la paura che avete avuto, col tempo passa. Così in conclusione, Dio ci prepara sempre le cose in modo diverso da come le pensiamo noi, perché avreste dovuto essere preoccupati voi della mia partenza ed invece dopo neppure una settimana della mia presenza in Africa ero preoccupato io di voi. Ora lascio stare questo argomento per non fare considerazioni inutili, non avendo altre notizie precise. Io qui me la passo veramente bene. Prima di tutto, non ho avuto nessuno disturbo alla salute. Anche il posto dove sono, mi piace molto, anzi mi dispiace lasciarlo quando sono costretto ad andare in altri posti. Qui siamo abbastanza alto (di notte dormo con due coperte), ma appena ci si muove e si scende un po’ il caldo comincia ad essere molto forte. Vivo qui solo con P. Celso e facciamo tutto da noi. Ci dobbiamo arrangiare anche a farci da mangiare. Certo se dovessi restare più a lungo scriverei subito a mamma per farmi spiegare come fa a preparare quei tre o quattro piatti che siamo soliti mangiare sempre, oppure a Franco di spiegarmi come si fa qualche dolce. La gente qui in pratica non ha cucina e noi non possiamo adattarci a loro. Troviamo un po’ tutto quel che ci serve per cucinare all’italiana, ma dobbiamo fare molti chilometri per comprarlo e poi in genere costa molto di più che in Italia, tenuto conto che il costo della vita qui è molto basso, almeno per quanto riguarda la mano d’opera. Comunque cerchiamo di arrangiarci. Ad esempio per festeggiare il Natale (essendo rimasti anche senza pane) abbiamo provato a fare una specie di dolce. Avrebbe dovuto uscir fuori una specie di pan di Spagna. Siccome però eravamo appena tornati da fuori, mancava anche il latte. Abbiamo mandato un ragazzo a mungere una mucca, ma il vitellino aveva succhiato tutto il latte. Così ho infornato lo stesso; sembra che sia uscito fuori una specie di biscotto. Va bene lo stesso. Domani, siccome è Natale, cercheremo di farci il pane da soli. Abbiamo il forno. Speriamo che non esca fuori qualche altra specialità. Come certamente avrete già capito da sopra, abbiamo anche una stalla, con una decina di mucche e tre vitellini nati da quando sono arrivato qui. C’è un ragazzo che ci sta appresso. Prossimamente dobbiamo decidere se continuare ad averla oppure no. Io penso proprio di si, perché per le mucche non si perde proprio tempo. Prima però perdevano molto tempo nel fare i formaggi con il latte, per poi venderli. Ma si può avere lo stesso le mucche senza fare formaggi, o meglio farli solo per quello che servono a noi. Una settimana fa più o meno ho consigliato di tentare di fare la mozzarella. Abbiamo letto come si dovrebbe fare in un libro e l’abbiamo messo in pratica. Non posso dire cosa ne è uscito fuori perché neppure io lo so. Vuol dire che la prossima volta starò più attento quando vado da Annetta per vedere bene come si fa. Queste sono solo un po’ delle avventure della cucina che viviamo qui. Poi ci sono avventure di tutti gli altri tipi. Penso che basta per far capire che me la passo veramente bene. Vorrei scrivere a tanti a S. Maria. Prima di tutto ai parenti, Annamaria, zii… E poi anche agli amici, Lucio, Armando e tutti… proprio tutti. Ma siccome sono sicuro che darete loro mie notizie, ne faccio a meno. Preferisco scrivere ad altri che magari non possono riceverne da nessuno, come ho fatto ad esempio con Tonino a Milano. Spero di poter scrivere entro domani a Riccardo per fargli gli auguri per l’erede che è arrivato. Le notizie volano anche in Africa. Vi saluto e vi auguro che questa notte di Natale, anche se sarà passata da molto tempo quando leggerete questa lettera, vi porti molto più pace e gioia di quanto non avrebbe potuto fare la mia presenze a S. Maria. Un saluto a tutti.
Fonjumetaw 25/12/80
Carissimi Riccardo e Milena,
mi è appena giunto un invito da parte di un certo… Antonio Affinita perché lo vada a trovare. Mi rivolgo a voi perché possiate assicurarlo che lo farò appena mi sarà possibile. Mi è dispiaciuto solo che si è fatto presente solo quattro giorni dopo la mia partenza dall’Italia per cui dovrò rinviare la mia visita di qualche mese. Dalla data della presente, vi sarete accorti che “‘io sono” nel giorno di Natale, “voi sarete” certamente in tutt’altro contesto quando la leggerete. Cosi questa lettera per me è doppiamente natalizia. Anzi vi devo confessare che in questo preciso momento non è ancora Natale. Manca solo qualche ora: sono in attesa della messa di mezzanotte. Così ho cominciato a scrivere mettendo la data di domani sicuro che non riuscirò a finirla questa sera. Cosa dirvi della mia vita quaggiù? Mi sembra che quanto più passa il tempo più sto meglio, non solo fisicamente. E dire che mi son trovato bene fin dal primo momento. Il che non vuol dire che non ci sono difficoltà nel capire la mentalità della gente di qui. È’ proprio tutto diverso. Ma c’è in ognuno di noi, cosiddetti missionari, qualche cosa che ci fa andare al di là, una molla dentro di noi che ci fa capire che aldilà di tutte le differenze per scoprire che poi siamo veramente tutti fratelli. Come vedete il discorso è in tema con il Natale. Comunque lo sforzo continuo di capire il modo di esprimersi e di vivere di questi fratelli con la faccia nera non finisce mai. A volte bisogna stare anche molto attenti. Un piccolo episodio. Quando sono arrivato in Cameroun sono venuti a prendermi all’aeroporto due Padri. Il giorno dopo siamo ripartiti per raggiungere il posto dove sono attualmente. Passando per la periferia di Douala, la città dove sono arrivato, uno dei due Padri si è fermato a comprare del pane. Questa è la prima parte. Secondo episodio: qualche giorno fa. In occasione del Natale parecchi ragazzi e giovani tornano nelle loro famiglie per le vacanze. Siccome sanno che da noi c’è sempre lavoro da fare vengono a chiedere di lavorare un po’ per guadagnarsi qualche spicciolo. Viene anche uno che poi chiede al Padre: “Tu il giorno 19 novembre eri a Douala e hai comprato del pane?” “Si”, “La ragazza da cui hai comprato il pane è mia sorella” (sorella per modo di dire, perché con la poligamia che c’è, anche le parentele sono un po’ difficili da decifrare). Allora il Padre gli dice “Quando torni a Douala, me la saluti”. E il ragazzo subito: “Ma perché la vuoi sposare?”. Come vedete l’episodio è banalissimo, ma proprio perché tale è segno di due modi di esprimersi completamente diversi. Mi sono chiesto veramente: ma che tipo di rapporto si può avere con la gente qui. Non so ancora. Ci vorrebbe molto tempo per capirlo. Solo allora forse riuscirei a intravedere le ricchezze tanto decantate dei popoli del terzo mondo. Per ora sono riuscito a capire che la ricchezza più grande che hanno è il fatto che devono esperimentare ancora tutto quello che noi abbiamo già sperimentato, magari fare gli stessi sbagli. O forse la ricchezza nascosta che hanno è proprio la possibilità, seppur remota di non fare gli stessi sbagli che abbiamo fatto noi. Certamente non sarò io a constatare se questo avverrà o no. Comunque queste sono riflessioni che mi passano per la testa, prendetele per quello che valgono. All’inizio della lettera avevo torto: riesco a finire la lettera prima della messa di mezzanotte. Abbiate per buona la data di domani, perché sono contento di aver passato qualche attimo del mio Natale africano con voi. Così posso pure assicurarvi che tra poco nella messa sarete presenti anche voi. Penso sia il dono più grande che posso farvi. Del resto credo che anche per voi sta passando il tempo e gli anni in modo tale da capire sempre di più che tutti gli altri “doni” che ci possono essere fatti nella nostra vita valgono proprio quel che… valgono. E cioè un pezzo di carta con cui sono stati comprati. Invece pare che resta eterna una cosa sola: quel po’ di amore che riusciamo a darci l’uno con l’altro. Aspettatemi che prima o poi arrivo. Se poi non volete aspettarmi, abbiate la bontà di avvisarmi… tanto vengo lo stesso. Ora debbo andare. Vi saluto, ma non siate egoisti: allargate questi saluti a tutti quelli che possono interessare da parte mia. Faccio solo un nome: Antonio, Lui si che se lo merita: è la prima volta!
Il viaggio
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CamerunData di partenza
1980Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Angelo Daddio
Un diario epistolare
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