L’esperienza di vita e di lavoro di Elisabetta in Bolivia, nel 2011, si arricchisce di un’esperienza nuova. In compagnia di un’amica boliviana visita un pueblo sul lago Titicaca e partecipa a un pranzo e a una riunione della popolazione locale.
19 giugno
Non so più se è da una settimana o da un mese che non scrivo, qui il tempo ha un ritmo tutto suo. A volte mi succede di fermarmi un attimo per la strada, guardare le montagne e le case di mattoni arroccate e sorridere come un’ebete pensando a dove sono, chiedermi che ci faccio qui e sorprendermi perché questi due mesi e passa son volati, forse troppo in fretta rispetto alla mia capacità di comprensione. Di nuovo tanti incontri, volti, paesaggi. Il lavoro procede benissimo, gli orari si son fatti molto meno pesanti e accanto alle solite attività di psicopedagogia e psicologia sto tenendo dei taller con i genitori e con l’equipe del ciec ed è davvero stimolante, anche se arrivo a casa che non voglio più sentir parlare di psicologia e questo mi preoccupa perché non sto studiando davvero nulla per l’esame di stato. Ma da metà settembre dopo un mese di viaggio per tutta la Bolivia probabilmente andrò in una comunità nella foresta per 2 settimane in ritiro studio: per mezza giornata si lavora nei campi e l’altra mezza è totalmente libera quindi mi metterò sotto a studiare! Tra 1-2 settimane cambio casa, mi trasferisco con altre due amiche: pago 10 dollari in meno al mese (che è tantissimo) e avrò internet wi-fi, il che è fondamentale perché dovendo preparare gli incontri di psicologia senza internet è un casino: settimana scorsa mi son dovuta trasferire due giorni da un amico per poter fare tutte le slide perché qui in casa internet non c’è quasi mai e avendo solo la sera gli internet point son chiusi! E soprattutto la casa è in San Pedro, quartiere che amo, pieno di colori, a dieci minuti dal mercato più grande ed economico della città…che bello!
Continuo ad andare a El Alto e continuo a tornare con mille pensieri e con in testa i visi di queste ragazzine che a 13-16 anni ne dimostrano 35, hanno l’aids e non se ne preoccupano e sono come chiuse in un mondo che a tratti si riesce appena a sfiorare. Impotenza pura.
Un paio di week end fa —ma forse l’ho già scritto?- sono stata in un pueblo sulla riva del lago Titicaca perché c’era un’assemblea delle bartolinas (un movimento di donne indigene che prende il nome da Bartolina Sisa, che insieme a Tupac Katari guidò la rivolta contro gli spagnoli). Giulia sta facendo la sua investigazione su questo movimento, una bartolina —Juanita- l’ha invitata e io mi sono aggregata al volo. Siam partite alle 4 del mattino da El Alto, che a quell’ora è già un brulicare di venditori e di ubriachi e in 3 orette siam arrivate al pueblo: un pugno di case sperse nella natura, solo campi e animali a perdita d’occhio. Siam state ospiti dei genitori di Juanita, due splendidi silenziosi fieri anziani (ma forse avevano solo 50 anni, anche se ne dimostravano 70). Io e Giulia ci siam messe a lavorare nell’orto per raccogliere le verdure per il pranzo, Juanita e sua mamma han cucinato sul fuoco e poi tutti insieme a mangiare, una coperta sul prato, il sole che picchiava forte e la sensazione di avere tutto ciò che si possa volere e non desiderare nulla di più. E nulla di meno bello. Poi siam andate alla riunione, era tutta in aymara quindi non ho capito nulla ma è stato interessante vedere le dinamiche della comunità, il modo in cui prendono le decisioni ecc. Juanita ci ha presentate come sue compagne di corso dell’università perché la popolazione indigena è per la maggior parte ostile ai bianchi (i gringos, come ci chiamano), e ci ha fatto alzare in piedi nel cerchio e presentarci, è stato stranissimo! Alla fine della riunione c’era come sempre l’aktapi, che è il mangiare comunitario: per bere si utilizza, solo un bicchiere ogni 20-30 persone e chiaramente io ero dopo un’anziana sdentata che lasciava metà saliva insieme al refresco. Però che bella cavolo! Qui gli anziani sono una cosa che ti toglie il fiato: le loro rughe profonde, i loro sorrisi senza denti, i capelli bianchi sotto al cappello da campesino e i piedi che hanno ormai il colore della terra…saranno pure analfabeti, ma trasmettono una saggezza incredibile con il loro sguardo che vale più di millemila libri.
Domani vado a Tiwanaku, le antiche rovine inca, per il solstizio d’inverno: ci sarà una cerimonia inca durante la notte e si aspetta tutti insieme che sorga il sole. Invece settimana scorsa siamo andati alla Valle de las Animas a fare una ofrenda a la Pacha Mama: un fuoco tra i monti e sullo sfondo l’Illimani..uff! Da mercoledì a domenica invece approfitto delle vacanze per viaggiare ad Oruro e da lì andare nel pueblo in cui lavora Maffucci dell’OMG: mi aveva scritto due mesi fa dicendomi di andare a trovarlo, oggi l’ho chiamato e mi ha detto che mi ospitano senza problemi. Ho proprio voglia di farmi un bel viaggetto sola.
Ah, sono ufficialmente stata battezzata anch’io: mi han rubato la macchina fotografica! E son stati bravissimi cavolo, perché ero con due amiche e avevo la borsa davanti: me l’hanno aperta senza che me ne accorgessi e pure richiusa. Ed ero nel centro, non in periferia né a El Alto. Erik (il coordinatore del CIEC) ha approfittato di questo per riprendere le sue raccomandazioni e raccontarmi per bene tutta la storia di quel che era successo ai due italiani che erano stati a lavorare al ciec: derubati in un radiotaxi e poi gettati in un vicolo dai