Mestieri
artigianoLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
Palestina, Sud AfricaData di partenza
1940Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Nella disgrazia, Tebaldo può ritenersi un uomo fortunato: ferito gravemente a un braccio in Libia, viene trasportato in un ospedale inglese in Israele e curato, bene, dal personale sanitario “nemico”.
Alessandria d’Egitto Qui cominciò un altro calvario. Certamente sarebbe stato da ingenui sperare, che potessero portarci in una clinica di lusso. Lessi su un giornale in lingua italiana trovato in ospedale, che in 40 giorni furono fatti prigionieri 120.000 italiani. Alla fine della guerra avrebbero dovuto fucilare tutti i responsabili di questa tragedia. Mandare dei disgraziati a piedi nel deserto e nella steppa russa, neanche i pazzi del manicomio lo avrebbero fatto. Torniamo all’ospedale d’Alessandria d’Egitto. Eravamo 48 pazienti in un reparto, la notte c’era un solo infermiere, che parlava arabo, naturalmente. Io non dormivo, mi sentivo soffocare. Erano 2 settimane che avevo subito l’intervento e non ero stato rimedicato, una mattina mi trovai in un lago di sangue nel letto. Vennero subito il dottore e gli infermieri. Io mangiavo solo la colazione della mattina. Un filoncino di pane bianco, ottimo, 3 uova sode e burro. Ci avevano dato un camicione bianco, come usano ancora, scalzi, andavamo al bagno, che era pieno di sudiciume e di tutto il resto, io non potei mai lavarmi in quei 15-20 giorni che rimasi lì. Finalmente il calvario finì, andammo in paradiso in Palestina. Fummo imbarcati su una nave ospedaliera ed arrivammo al porto di Haifa.
Passati circa 20 giorni,ci trasferirono in un altro piccolo ospedale in località Lydda non molto lontano da Tel Aviv. C’erano dei tendoni confortevoli 2 per noi italiani, 1 per i libici che facevano parte del nostro esercito, loro non familiarizzarono con noi anche se conoscevano bene l’italiano, avemmo lo stesso trattamento come all’ospedale precedente. Eravamo 50 italiani e 20 libici. Qui rimasi dal 20 febbraio 1941 al 28 aprile 1942, poiché il braccio, non essendo stato curato per 2 mesi, era ridotto malissimo. Anzi, poichè fra di noi, c’erano 2 infermieri italiani, che aiutavano quelli scozzesi, alla fine mi dissero che pensavano di dovermelo tagliare, per com’era ridotto male. Dopo i raggi X, tentarono di tirare fuori dei pezzetti d’osso marci, ma senza risultato, sicché per risolvere il problema, dovettero fare un intervento a maggio, e un altro a fine settembre, per essere dimesso il 28 aprile 1942. Fortunatamente, poi è tornato tutto a posto. Come passai qui questi 14 mesi? Considerato che eravamo prigionieri di guerra meglio non poteva andare. Essendo un ospedale scozzese, fummo veramente trattati alla pari, essendo anche loro, come noi, d’origine contadina, veniva loro spontaneo, considerarci alla pari. Invece gli inglesi, nell’insieme, sono ben diversi, l’ho capito dopo tanti anni. Bisogna tener conto che loro avevano un impero, avevano navigato per secoli, su tutta la terra, dando i loro nomi ai tanti luoghi conquistati, non poteva essere diversamente.
Vediamo com’era la giornata in ospedale, la mattina, colazione alle 7, era il pranzo più abbondante e sostanzioso, uova sode, burro con marmellata, prosciutto, anche spaghetti, cotti nel latte, e come bevanda, sempre il the. Quelli che potevano camminare, come me, facevamo la colazione al refettorio, gli altri 3 pasti, tutti insieme, nel reparto dell’ospedale. Nel reparto c’erano, a turno, 3 sisters, (infermiere in inglese), un’infermiere scozzese e due infermieri italiani. Io, che ero tra i pochi, che potevano fare qualcosa, almeno con un braccio, la mattina aiutavo l’infermiere a fare le medicazioni. Quando era il turno dell’infermiera di 19 anni, mi venivano in mente “dei brutti pensieri”, vestita da crocerossina, divisa bianca trasparente, con sotto le mutandine rosa: per ogni piccola cosa che facevo era un “thank you”. Ogni mattina, insieme ad altri 2 o 3, andavamo al magazzino, nella parte dell’ospedale inglese, a fare la spesa per il reparto. Questa vita andò avanti per 14 mesi, ogni giorno era più o meno uguale all’altro. Non avevamo reticolati, quindi potevamo fare pure qualche uscita, nessuno ce lo impediva. Ma per fare che cosa? Tutto intorno c’erano coltivazioni d’aranci, che non venivano raccolte perché eravamo in guerra, quindi, oltre a mangiarle, qualche volta, si faceva la sassaiola con le arance. Prigioniero con noi c’era il cappellano militare, che in una tenda cappella, ogni mattina celebrava la messa. Mi ricordo, che avevo qualche lira, ogni sabato il cappellano andava a Gerusalemme, così gli feci comprare una piccola grammatica ed un piccolo dizionario tascabile italiano-inglese, inglese-italiano. Però, avendo fatto la 5° elementare (e non era poco a quei giorni), non era facile studiare l’inglese. Ad ogni modo iniziai così a studiare l’inglese.
Il Natale del 1941, il cappellano comprò il necessario per fare il presepe. Fu veramente una cosa bella. Qualcosa di ancora più bello, fu il pranzo di Natale, non perché gli altri giorni ci mancasse da mangiare come ho già detto prima, fu un gesto lodevole, Sotto un gran tendone, (lì era tutto nelle tende), a capotavola la Matron, la direttrice di tutto l’ospedale, con il grado di Maggiore, vestita di bianco, poi tutti noi, 50 italiani, con il segnaposto con il nostro nome sul tavolo. Naturalmente i prigionieri libici del nostro esercito non c’erano, perché non erano cristiani. Fu un pranzo straordinario con un’infinità di piatti. Mi torna alla mente un particolare: quando la direttrice veniva a visitarci, letto per letto, all’ingresso del reparto, con la flemma che le era congeniale diceva: Everybody all right? Tutti bene? Beh! Come prigionieri di guerra fummo veramente fortunati e per questo devo ringraziare anche Dio. Passarono così gli altri 4 mesi, ed arrivò il giorno in cui fui dimesso dall’ospedale. Finì così il benestare. Addio al letto con le lenzuola, (che si cambiavano ogni martedì), al pigiama, alla camicia bianca, (da cambiare ogni mattina), alla Sister Letherland, che mi regalava tutti quei THANK YOU ogni mattina, quando aiutavo lei, a fare le medicazioni e a rifare i letti. Pazienza!
Il viaggio
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Palestina, Sud AfricaData di partenza
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