Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
PalestinaData di partenza
2002Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Flora è in Palestina, nel marzo del 2002 è in corso la Seconda Intifada, gli scontri tra israeliani e palestinesi sono feroci. Flora con l’associazione pacifista “Donne in nero” viaggia tra Gerusalemme e Betlemme, incontra persone coinvolte a vario titolo nel difficile contesto sociale e politico locale e prende posizione, sul suo diario, contro la violenza dilagante.
Domenica, 3 marzo 2002
Siamo in nove. Nove “Donne in Nero” che si apprestano a trascorrere un otto marzo particolare. Partiamo malgrado la perplessità dei parenti, che ci mostrano i giornali con le cifre della violenza e dell’escalation militare. Sulla spilla appuntata sull’abito un’utopia: “Fuori la guerre delta storia”. Portiamo, coi nostri corpi, solidarietà alle donne che vivono nei luoghi di conflitto, intessendo relazioni, gettando ponti per costruire una diplomazia dal basso. Donne in Nero in Pakistan, in Afghanistan, in Kurdistan, in Palestina, dove si susseguono le staffette dall’inizio dell’Intifada. Oggi tra loro ci sono anch’io.
Martedì, 5 marzo
Siamo in undici: Teresa, Eliana, Maria Teresa, Elvira e Roberta di Roma; Erminia di Perugia; Daniela di Reggio Emilia; Lorenza di Trento; Manuel di Cesena; Carmen di Padova e Corinna di Grosseto. Attraversiamo a piedi 11 check-point di Betlemme, otto chilometri da Gerusalemme. Mitra puntati al viso dei palestinesi, grida e toni arroganti. Ma presto viene bloccata l’uscita e respinta un’ambulanza coi feriti. Passano auto con frati, mezzi militari la stampa e il pullman delle Nazioni unite.
“Come stai?”. “Sono viva”. “E i bombardamenti di stanotte?”. “As usual”. Jihan, la nostra amica che ha lavorato al Parlamento Europeo, ci conduce alla sede del Governatorato, dove ci sono una quindicina di funzionari. “Riferite ciò che vedete: noi non siamo terroristi! Gaza e la West Bank costituiscono il 22 % della vecchia Palestina, ma il nostro popolo ha accettato di vivere in un territorio così ristretto. Noi vogliamo la pace”. Al Palestinian Center for Rapprochement between People di Beit Sahur, coi capelli pieni di sabbia e la paura dei carri armati (“sedetevi che la situazione si fa difficile”), incontriamo Ghassan Andoni, uomo pacato e pacifista da sempre, ora teso e inquieto. Rivendica la legittimità della lotta del popolo palestinese, anche se non condivide certe modalità di azione e ricorda le vittime israeliane. Sottolinea le disparità tra le parti: soldati e coloni armati da un lato, per lo più civili disarmati dall’altro.
I palestinesi hanno bisogno di protezione internazionale. Bisogna decidere da che parte stare: questo massacro va fermato o succederanno cose per cui ci sentiremo colpevoli.
Il viaggio
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