Mestieri
rappresentante di commercioLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1939Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)La seconda fuga verso la Svizzera riesce, Emilio e Maria nell’inverno del 1943 raggiungono clandestinamente Bellinzona, per poi riparare a Lostorf non lontano dal confine con la Germania.
Giunti ad Argegno, scendemmo dal battello e preso posto in un auto, che già aveva caricato in città due valigie contenenti l’assolutamente indispensabile (anzitutto il corredo per il prossimo neonato) raggiungemmo senza intoppi Lanzo con una corsa interrotta solo dalla triste visione di gruppi di autocarri dell’esercito in sfacelo. Due giorni soli di attesa ma pieni di ansie: il nemico era già sul posto. Qualche motocarrozzetta ed un carro armato percorrevano con fragore le pacifiche strade della valle, su e giù per incutere il terrore nella popolazione già piegata dall’ondata degli avvenir menti, ma. pronta nel silenzio delle case a preparare la liberazione. La mattina del terzo giorno ci avviammo di buon’ora con due contrabbandieri, portando sulle spalle un sacco da montagna (le valigie erano tornate a Como per l’impossibilità di portarle a mano) e due piccole borse con gli impermeabili, seguendo con le nostre guide gli stretti sentieri della montagna. La frontiera era ormai vicina, ma il pericolo di trovare pattuglie nemiche era incombente. Andare, andare, non bisogna perdere tempo, ci dicevano le guide. Ad un certo punto ci indicarono i paletti che segnavano il confine e con gli auguri di buona fortuna ritornarono frettolosamente sui loro passi, onde evitare spiacevoli incontri con le guardie svizzere. Eravamo in mezzo ad una fitta boscaglia: tra gli sterpi Maria perse un tacco ed ora procedeva cauta per non nuocere al tesoro racchiuso nel grembo: la strada era ancora accidentata. Pochi passi ancora e vedemmo avvicinarsi alcune guardie svizzere: ci presentammo ed alla vista del ventre di Maria ebbero parole di sdegno per chi ci aveva costretto a fuggire. Non ricordo più (o forse non voglio ricordare) i particolari delle prime ore trascorse nella caserma di confine delle guardie svizzere, che comunque con noi si comportarono molto umanamente. Nel pomeriggio fummo trasportati in autobus al fondo valle a Maroggia, donde in treno raggiungemmo Bellinzona. A Maroggia altro triste spettacolo di un intero reggimento di cavalleria italiana, che si era trasferito al completo oltre confine per sfuggire alla cattura tedesca: un treno speciale era pronto per trasferirlo in altra località di rifugio. A Bellinzona Maria ed io fummo purtroppo divisi: lei in un collegio di suore, ove trovò un letto ed una amorevole accoglienza da parte di una organizzazione di soccorso diretta dalla Dott.ssa Battisti, figlia del martire trentino. Fu richiesta quasi subito una visita ginecologica di controllo, che mise in rilievo un pericolo per fortuna leggero di un inizio di dilatazione, che pochi giorni di riposo fecero scomparire. Io venni portato al Castello Unterwalden, che sovrasta Bellinzona: un maniero medioevale adibito per accogliere i profughi. Dovetti accontentarmi di un giaciglio di paglia, che peraltro mi sembrò GIN, un grosso risultato. Ma il mio cruccio maggiore era la lontananza e la scarsità di notizie di Maria. Finalmente trovammo la via per scambiare le notizie su biglietti scritti a matita: definimmo quel periodo “l’ardente attesa”, come li titolo di un libro, che avevamo letto. L’internamento a Bellinzona durò una ventina di giorni e verso la metà di ottobre ci riunirono e ci trasportarono in treno a Lostorf bei Olten nella Svizzera tedesca, ove ci sistemarono nelle camerette di un vecchio albergo già adibito a cure solforose per malattie della pelle .Qualche perplessità quindi nell’affrontare le docce dell’albergo. Eppure ci sembrò un sogno di poter essere di nuovo insieme in una cameretta, che era quasi completamente occupata dai due letti: avevamo però un catino ed una brocca per lavarci. Il cibo era il grande problema di tutti e specialmente di Maria e di un’altra signora incinta. Patate, patate e patate ogni giorno con pochissimo altro, che non ricordo bene. Una richiesta di supplemento di latte per le due donne incinte rimase inascoltnta. Circolava la voce, non so per la verità con quanto fondamento, che tra le autorità centrali della Confederazione si annidassero elementi favorevoli al nazismo. La popolazione invece ebbe verso i profughi una benevolenza, che sperimentai anch’io tante volte. Aggregandomi alle corvées, che quasi ogni giorno si recavano nel paesino per fare provviste di…patate e sfruttando quel pò di tedesco, che mi aveva insegnato il cognato berlinese, feci presto la conoscenza con alcuni abitanti di Lostorf e con loro intrattenni dopo la guerra una amichevole corrispondenza. Le commesse di una cooperativa, appresa la gravidanza di Maria,mi consegnarono vari pacchi con viveri e capi di vestiario per neonato. Anche una fioraia di Olten, che visitava i campi dei profughi, ci donò svariati oggetti per il nascituro. In particolar modo ci furono veramente amici il parroco cattolico di Lostorf don Peter Strebel e la sua segretaria Irma Koller, che, quando era possibile, ci accoglievano nella loro casa e ci offrivano té e dolci, che non avevamo più assaporato da tanto tempo. Il parroco venne poi a Mendrisio a battezzare Marco e la segretaria ne divenne la madrina.
Il viaggio
Mestieri
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laureaPaesi di emigrazione
SvizzeraData di partenza
1939Periodo storico
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