Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
VenezuelaData di partenza
1952Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Le contraddizioni della società italiana negli anni ‘50, nel racconto di Felice Malgaroli, operaio a Torino e sopravvissuto ai lager tedeschi durante la Seconda guerra mondiale.
Ero stufo della vita vissuta in quattro in un camera e cucina con cesso in comune in fondo al ballatoio. Alla domenica mattina al bagno pubblico di via Belfiore c’era sempre la coda e quando sotto la doccia cercavo di insaponarmi per la seconda volta, veniva l’inserviente a battere sulla porta. Molti giovani come me andavano all’università e io in fabbrica. Non sentivo il peso di questa differenza, ma quello del loro conversare brillante rispetto alla mia difficoltà di trovare le parole adatte. In certe giornate non capivo più nulla ed allora mi baloccavo tra la speranza del modesto titolo di studio serale e i sogni che si facevano in fabbrica sui pochi amici che erano riusciti ad uscirne e a lavorare in propri.
Sovente ci si incontrava con altri giovani di sinistra e capivo di essere un polo di attrazione per loro. Anche se figli di benestanti, mi parlavano di Marx-Engels, del Manifesto etc ma io non sapevo dialogare con loro. Per me il comunismo era rivoluzione proletaria e basta, non avevo mai letto niente di quei libri. Quelli che leggevo, spaziavano sugli eventi termici, magnetici o fisiologici dell’elettricità, sapevo cos’era il campo magnetico rotante di Galileo Ferraris ma non avevo mai letto il Manifesto. Socialista era stato mio nonno, finito al confino, e così mio padre e i suoi fratelli. Io per la Resistenza ero finito a Mauthausen e quando non me la cavavo più lo ricordavo a loro. Una volta uno mi disse: “Beh, sei stato a Mauthausen, ma è mica merito tuo”.
Il rientro a Torino con le contraddizioni della vita in fabbrica e la diversità di punti di vista alla sezione del partito, mi metteva in crisi. Persino con mio padre – che non contraddissi mai- avevamo punti di vista diversi. Alla Riv mi hanno passato al collaudo, dove ci sono molte donne venute dalla condizione di “addetto macchina”, che non hanno sufficiente conoscenza tecnica per leggere le nuove tecnologie in arrivo. Affacciarsi al mercato dell’”esportazione” era una frase che mi aveva colpito ed essa implicava un più serio controllo qualitativo e la ricerca continua. Il mio passaggio al collaudo non fu pere dovuto a quelle nuove esigenze, ma ad un fatto casuale. Avevo notato che ogni qualvolta cambiavano la mola alla macchina di Amalia aumentava il numero di pezzi di scarto tra la produzione delle macchine circostanti. Amalia rettificava la gola su cui scorrevano le sfere nell’anello interno del cuscinetto; quindi le sue macchine avevano mole di grandi diametri, che quando venivano sostituite, provocavano una vibrazione iniziale che durava sino a quando non venivano accuratamente bilanciate. Queste vibrazioni trasmesse al pavimento sensibilizzavano le macchine vicine le quali per risonanza analoghe vibrazioni sul pezzo in lavorazione, che veniva poi regolarmente scartato. Me ne resi conto e ne approfittai per smettere di lavorare ogni volta che cambiavano quelle grosse mole di smeriglio. Smettevo, leggevo i miei appunti di scuola, oppure gironzolavo curiosando. Gli spioni sono dovunque e quelli del reparto — a mia insaputa — andavano a raccontarlo al sig. Cavallero, il caporeparto. Era questi un uomo di poche parole e sempre vestito di nero con un cappello a tesa pure nero. Alle parole degli spioni non dava tanto peso, a lui bastava controllare le tabelle di produzione e le mie erano “a posto”. Tuttavia il buono ed il cattivo esempio sono argomenti seri ed il “monsù Cavallero” mi mandò a chiamare per farmi la dovuta predica. Cercai di spiegargli il perché ed il percome vibrasse il pavimento quando cambiavano le grosse mole della “Von Norman”- le macchine di Amalia — ma senza che lui mostrasse di ascoltarmi, sino a che io pronunciai la parola: “sincronismo”, dicendo che la vibrazione di “quelle” macchine “entrava in sincronismo” con quella delle macchine vicine. Allora alzò gli occhi e mi chiese se sapevo co-sa fosse un sincronismo e dove l’avevo imparato. Gli spiegai come andassi a scuola serale per ottenere un diploma. Non vi fu “lavata di capo”, e il giorno seguente fui richiamato nell’ufficio, dove incontrai uno del reparto tecnico. Gli raccontai la faccenda delle vibrazioni e lì per lì si fece l’esperienza del cambio mole. Fu comprovato che il fatto si verificava puntualmente e io non mi rendevo ancora di aver fatto una scoperta, ma tutto trùllari per non essere momentaneamente appiccicato alle macchine ne continuavo a parlare a ruota libera di tutto quello che sapevo interessare, pur di allungare il gioco il più possibile.
Il viaggio
Mestieri
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diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
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