Mestieri
minatore, sindacalista, insegnanteLivello di scolarizzazione
diploma di perito industrialePaesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1948Data di ritorno
1948Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Adriano Zana, ventuno anni, ha iniziato da tre giorni a lavorare in una miniera di carbone del Belgio.
Stanotte ho pianto in miniera. Mi sono domandato, come ora ancora mi domando, il perché. Ma la spiegazione non mi viene subito. Il fatto è che ho pianto. Di un pianto silenzioso e caldo che riuscivo a trattenere quando potevo essere osservato dal minatore anziano cui ero stato associato dal chef-porion (caposquadra).
Un pianto strano, senza ragione apparente. Certo, una spiegazione si può dedurla dal fatto che non ero abituato a quel lavoro, a quel sacrificio. Avevo ventun anni; appena conseguito il diploma di Scuola Media Superiore avrei voluto trovare subito lavoro in Italia. Ma nel dopoguerra era difficile. Così, stanco di aspettare l’occasione buona, mi ero iscritto, come tanti giovani cremonesi, all’Ufficio emigrazione per il Belgio che offriva lavoro in miniera, al fondo.
Stanotte mi rivolgevo domande. Era paura? La paura della miniera non fa piangere; fa rifiutare decisamente di scendere al fondo. Tra le cause ammettiamo pure il genere di lavoro, il buio, il rumore dei martelli pneumatici che scavano nella roccia, la polvere; realtà che si impongono contemporaneamente nel modo più crudo. Di tutto ciò si era sentito parlare (avevo letto “Germinale” di Emile Zola), ma non erano stati sufficienti a prepararmi.
E poi perché accadeva la terza notte di lavoro invece che la prima, come sarebbe stato più logico? Stava forse maturando un pentimento di aver lasciato la casa, i familiari, ed essere incorso in una avventura piena di timori? Ma in compenso c’era pure la soddisfazione di cambiare vita, conoscere altri Paesi, fare nuove esperienze; soprattutto l’autonomia personale. In tutto ciò sarei stato certamente appagato, lo sentivo già da quei primi giorni di permanenza. E allora?
Ecco come ho spiegato la cosa. Le primissime volte che si scende e si lavora in miniera la tensione nervosa è altissima. Si pensa alla necessità di essere pronti a scongiurare uno qualsiasi dei pericoli (sottrarsi ai crolli, al grisou, il terribile gas). Ciò fa sì che gli organi del nostro corpo, i sensi tutti, debbano essere pronti. Così l’occhio non è mai quieto, l’orecchio sempre teso ad ascoltare i più piccoli rumori sospetti, i movimenti delle gambe sono rapidi ma scomposti; se si è occupati a cavare il carbone, spingerlo sulle lamiere per farlo scivolare in basso dove lo raccoglieranno i carrelli posti nella galleria sottostante, non si vede l’ora di sostare un attimo per poter dedicare tutta l’attenzione ai possibili pericoli. Ci si muove febbrilmente e si suda e si sbuffa per le posizioni scomode che il corpo deve assumere piegato in quel poco spazio.
In queste condizioni si può ben comprendere come si sia lontani dall’abbandonarsi al sentimento ed al pianto. Si prova una grande fatica fisica e in più il minatore anziano più esperto ingiunge di far presto il lavoro, lui stesso lo accelera per aumentare il cottimo, cresce la quantità di carbone da spalare, da sgomberare.
Ma poi ci si abitua, i gesti da compiere sono sempre quelli, e si pensa a ciò che c’è fuori, il sole, alla campagna con i suoi colori, al nostro Po. Quando soffriamo deve esserci un istinto ad accostare i contrari, come il buio e la luce, è il bisogno di sperare sempre.
Mi sentivo tanto piccolo al pensiero di quell’enorme massa di terra che mi separava dall’aria pura. Ed ho pianto…
Il viaggio
Mestieri
minatore, sindacalista, insegnanteLivello di scolarizzazione
diploma di perito industrialePaesi di emigrazione
BelgioData di partenza
1948Data di ritorno
1948Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)