Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo pochi mesi di guerra sul fronte africano, nel 1941 Stefano viene fatto prigioniero dagli inglesi. Per lui comincia una lunga odissea nei campi di prigionia britannici. Umiliati e maltrattati fino alle estreme conseguenze, i soldati italiani vengono condotti fino a Suez per essere trasferiti verso l’India.
Ricordo quando arrivammo a Sirte un paesino nel deserto dove non c’era più neanche l’acqua potabile, bisognava bere acqua salmastra! Tanto che per rianimarsi un pò dal caldo e dall’affaticamento sofferto per un giorno intero, bevemmo un grande quantitativo di bevande allo spaccio. Ma tutti questi sacrifici non ci toglievano l’entusiasmo di andare avanti. L’attacco di terra si prolungò per un pò di tempo, infine, nel mese di settembre del 1940 ci fu un glorioso attacco e si conquistò Sollum, Buq Buq, e Sidi el Barrani. Dopodiché non ci furono più attacchi all’infuori di piccole battaglie anche insignificanti. A noi dell’autoreparto ci fecero tornare indietro e ci accamparono nei pressi di Bardia. Noi addetti all’officina eseguivamo regolarmente i lavori di riparazioni degli automezzi ed altri tipi di lavori, ognuno di noi era assegnato ad un reparto, io fui assegnato alle salda-ture e vi rimasi fino alla disfatta. Dopo questa “grandiosa” avanzata, passarono parecchi mesi e tutto restava calmo, al di fuori di qualche scaramucciola, e di un aereo inglese che, tutte le sere sul tardi, veniva a bombardarci, noi lo chiamavamo “lumacone”, ma intanto ogni volta dovevamo correre al riparo. Questa calma non era certo un buon segno e poi si sentiva spesso che c’erano molti sabotaggi e tradimenti, si diceva anche che il vice Re della Libia, il Generale Italo Balbo, andava spesso di notte al Cairo con il suo aereo a conversare con gli inglesi e lo dimostrò il fatto che una sera ritornando dal Cairo fu abbattuto dalla nostra contraerea della nave la S. Giorgio che era ferma nel porto di Tobruk. Allora ci rendemmo conto che era vero che i nostri aerei da ricognizione, che si trovavano in aria, venivano richiamati e appena si posavano a terra arrivavano i bombardieri inglesi e li distruggevano, allora era vero che le bombe erano fatte in parte di segatura e i fusti di benzina che arrivavano dall’Italia erano in parte pieni d’acqua al posto di benzina. Finché arrivo il giorno in cui gli inglesi, bene organizzati ed armati fino ai denti, con carri armati, aerei da bombardamento, sferrarono un contro attacco e in pochi giorni oltre a rioccupare i loro territori, entrarono per parecchi chilometri nei nostri territori prendendo quasi tutta l’armata prigioniera con centinaia di morti lasciati sul campo. Fu una grandissima sconfitta per l’Italia, ma anche per noi fu una grande disfatta morale vissuta direttamente sulla nostra pelle, subendone tutte le conseguenze che ne derivarono, fummo trattati come carne da macello, uccisi a vista e subimmo moltissime umiliazioni, fu veramente un’esperienza orrenda ed indescrivibile. Eravamo una marea di prigionieri.
Ci fecero camminare per parecchi chilometri a piedi, in ordine sparso, in pieno deserto sulla sabbia a 50 gradi, alcuni erano scalzi o mezzi nudi, per poi concentrarci in pieno deserto per alcuni giorni. Alcuni, lungo il percorso, poiché erano feriti, altri malati o stanchi, non potevano tenere il passo, e i soldati che ci accompagnavano anziché aiutarli gli sparavano con molta facilità e li lasciavano a terra, era una cosa ripugnante e vergognosa, come i cannibali. Ci portarono in un punto isolato e circondati da sentinelle armate, che ci guardavano a vista, senza potersi muovere e senza mangiare e bere. Furono momenti di disperazione e molto difficili, potevi essere ucciso da un momento all’ altro, ed inoltre bisognava fare i bisogni dove eravamo accampati, con la conseguenza che dopo qualche ora puzzavamo come carogne, eravamo ridotti male, irriconoscibili uno dall’altro. C’erano parecchi soldati di Rocca Priora, ma non riuscimmo neanche a riconoscerci. Per potere avere un po’ d’acqua bisognava fingere di essere moribondi e portati in spalla da quattro persone dove erano accampati gli inglesi, i quattro portavano alcune borracce che veniva-no nel frattempo riempite di acqua. Non ricordo proprio per quanti giorni siamo rimasti in quelle condizioni. Ricordo solo le sofferenze e i disagi vissuti in quei giorni, i quali non si potranno mai dimenticare per tutta la vita. Arrivò finalmente il giorno che cominciarono a farci salire sui camion e ci portarono ad Ismalia d’Egitto, in un campo di concentramento un pò attrezzato, con le tende per ospitare un certo quantitativo di prigionieri, per essere smistati e nel frattempo ci presero le nostre generalità. Da quel momento divenimmo un numero con un nome e non c’era più il rischio di essere uccisi dai soldati dalle mille razze. In quei pochi giorni di soggiorno ci diedero qualcosa da mangiare e da bere. Ma dopo pochi giorni ci portarono ad Alessandria d’Egitto, dove ci fecero sostare ancora per pochi giorni, infine ci fecero salire di nuovo su un treno merce aperto per andare nel porto di Suez. Mentre si percorreva la città di Alessandria per raggiungere il porto, venimmo insultati e derisi in maniera pesante ed incivile dalla popolazione, con parole volgari, ci tiravano inoltre sassi addosso e altri tipi di oggetti, pur non avendo la popolazione di Alessandria subito attacchi da parte nostra. Arrivati nel porto di Suez ci imbarcarono su una nave da carico, non poteva essere che da carico, perché si dormiva tutti a terra nelle stive. Il mangiare che ci davano era uno schifo, sia per la qualità che per la quantità. La mattina ci davano un bicchiere di té con un panino di 60 grammi circa, a mezzogiorno ci consegnavano una marmitta che con-teneva 15 razioni, per dividerle bisognava fare il giro con un cucchiaio per ciascuno, per arrivare ad avere 9 o 10 cucchiai a testa, più un pezzetto di carne, se era carne, altrimenti poteva essere anche solo un’ossetto e il solito panino da sessanta grammi. La sera ci ridavano la stessa brodaglia del giorno, provammo a chiedere qualcosa in più, ci risposero che non avevano molta riserva, che l’India era lontana, in questo modo venimmo anche a sapere dove ci stavano portando. Ci promisero che una volta arrivati in India ci avrebbero potuto dare molto più cibo. Dovevamo accontentarci di quello per il momento, non c’era via di uscita.
Il viaggio
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