Mestieri
marinaio, artigiano, imprenditoreLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiore (accademia navale)Paesi di emigrazione
Argentina, Bolivia, Perù, ColombiaData di partenza
1925Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Serretto Serretti è un ventiquattrenne cecinese, aspirante capitano di lungo corso. Nel 1925 la sua carriera nella Marina Mercantile è bruscamente interrotta.
In febbraio del 1925 la nave “Vallescura” arrivò ad Amsterdam con poco più della metà dell’equipaggio. In Nord America i mancanti avevano tutti disertato, preferendo la dura lotta per il pane in terra straniera al tornare in patria, dove ormai il fascismo ogni giorno di più inquinava tutti i gangli degli apparati di governo e di potere. Fu così che trovai da imbarcarmi ed insieme ad un’altra dozzina di gente di mare partimmo da Genova, per ferrovia, verso Amsterdam, onde occupare i posti lasciati vacanti dai “disertori”: così erano chiamati quelli che preferivano restare all’estero piuttosto di tornare in una Italia che si faceva sempre più fascista e più nera.
Da Amsterdam, scarichi, partimmo per Cardiff, dove caricammo carbone. Dopo una settimana circa di navigazione toccammo, poi, Dakar, da dove, fatto rifornimento, salpammo per Rio de Janeiro. Da Rio de Janeiro a Montevideo e finalmente, a Buenos Aires, dove scaricammo, quando ci toccò il turno, le circa duemila tonnellate di carbone. La sera, quando si aveva la libera uscita, cioè a dire quando non eravamo di turno, malgrado ci si lavasse due o tre volte, si sembrava quasi dei mulatti…
Fu a Buenos Aires che conobbi un cecinese che, in compagnia di un altro cecinese, facevano le statuine di alabastrite. S. aveva dovuto lasciare Cecina per ragioni di antifascismo. […]
Restammo in quel porto (Montreal, Ndr) una decina di giorni e benché facesse un po’ freddo, furono quei giorni i più belli di tutti i sei mesi di navigazione fatti da me nella marina mercantile. Caricammo amianto e da Montreal facemmo tutta una tappa fino a Gibraltar. Da Gibraltar facemmo ritorno in patria, a Genova.
Dopo due ore circa del nostro attracco alla banchina di scarica, ci fecero ritornare in coperta e due tipi, verso i quali provai subito una istintiva antipatia come fanno i cani con certe persone sconosciute, ci comunicarono che da alcuni mesi la Federazione Marinara di Giuletti era stata disciolta e che in sua vece si erano formate le corporazioni marittime fasciste.
Invitarono tutto il personale ad iscriversi, “essendo detto sindacato il vero, l’unico, il patriottico!”. Tutti firmarono, capitano in testa. Quando arrivarono a me, che ero con un altro mozzo, l’ultimo della scala gerarchica, io restai con le braccia incrociate sul petto, impietrito, e non ci furono né preghiere, né minacce, che mi smuovessero. Mi sembrava che quella firma avrebbe annullato la mia personalità. Avrebbe lordato la mia anima per tutta la vita. E, unico, non firmai. La mattina dopo mi chiamò il comandante. Nuovamente mi chiese se preferivo essere liquidato o, ero ancora in tempo, metteva la mia firma dove l’aveva stampata tutto l’equipaggio. Ci avevo dormito sopra ed un ripensamento mi avrebbe salvato.
Dissi: “Capitano, la prego di darmi la liquidazione, e la ringrazio per il comportamento paterno che ha avuto a mio riguardo”. C’era nella mia affermazione tanta ironia, ma il vecchio lupo di mare non lo capì.
“Mi dispiace”, disse, allungando la mano con la busta della liquidazione.
Il fascismo aveva già gettato l’ultimo velo della sua maschera, e si rivelava ormai per quello che era: negatore di qualunque libertà di pensiero, accentratore di potere e di prepotenza.
Per non passare sotto le forche caudine della forzosa umiliazione della mia individualità, lasciai Genova, la marina mercantile, la mia carriera, quello per i quali non solo io, ma specie i miei genitori, avevano fatto tanti sacrifici per portarmi con un diploma sulla riva del grande mare…
E così tornai a Cecina, al mio paesello nativo.
Il viaggio
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