Mestieri
impiegataLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
GermaniaData di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Rientrata in Italia dopo dieci anni di lavoro in Germania come impiegata del Ministero Affari Esteri, Maria Emanuela Galanti raccoglie le memorie di alcuni italiani emigrati incontrati in quel periodo. Tra questi: Paolina, scappata con quattro figli dall'Italia dopo violenze e umiliazioni inflitte dai familiari.
Paolina non l’ho incontrata ad un tavolo d’ufficio ma ad una mensa conviviale, una tavolata lunga e festosa alla locale Missione cattolica italiana. C’è voluto del tempo perché si confidasse e mi raccontasse la sua storia, che comincia negli anni ’60 in un paese del calabrese. Un giorno, Paolina bella e vigorosa, appena diciottenne, va in visita al fratello ammalato in ospedale e incontra anche T., anche lui apparentemente per caso in ospedale, tornato a far visita alla madre e alle sorelle dopo qualche anno di emigrazione in Germania. Le famiglie pensano subito ad un commercio: se Paolina andrà in sposa a T., questi sarà trattenuto in paese con le “sue donne”, si acquieterà la sua insoddisfazione, la sua sete di nuove esperienze, e non tornerà più in Germania. Ma Paolina non è pronta a partire e non è pronta ad amare alcun uomo, e tanto meno un uomo come T., che non le piace e la spaventa. Il giorno del fidanzamento, questa ragazza appena maggiorenne, fino ad allora abituata alla sola schiavitù del lavoro nei campi, piange e si dispera … e piange e si dispera anche il giorno delle nozze. A nulla vale ricordare a sua madre la promessa di far sposare prima la sorella maggiore, che invece è ancora nubile: dopo neanche un mese dall’incontro, anzi dall’avvistamento, – che Paolina non si era praticamente neanche accorta di quegli occhi scuri che la soppesavano — la cerimonia nuziale ha luogo in chiesa, con il fasto, la pomposità, ipocrisia di tante altre cerimonie nuziali, dove giovani Carmele, Immacolate, Rosarie, Crocifisse sono state sacrificate sull’altare della ragione del più forte senza che per loro si versasse neanche una lacrima, sotto l’occhio vigile di una madre intrigante, sotto l’occhio ligneo di un crocefisso muto. Alla cerimonia nuziale segue una prevedibile “luna di fiele”, un viaggio di nozze tra violenza e ignoranza: violenta è la prima notte di nozze, di una violenza che si protrae per oltre una settimana, praticamente in pubblico, poiché i due sposi non usufruiscono di un alloggio proprio. La successiva, immediata gravidanza di Paolina, viene complicata, verso lo scadere del termine, da una caduta sulle scale che la porta ad un ricovero in ospedale e ad una frettolosa dimissione dallo stesso. Ed è per ignoranza che così hanno deciso le due famiglie, di nuovo insieme, di nuovo senza chiedere il parere della diretta interessata, nonostante i medici, durante il ricovero, abbiano subito riscontrato una sofferenza fetale. Ed è così che nasce morto – soffocato da diversi giri di cordone ombelicale – il primo bambino di Paolina. Scaturisce da questa maternità mancata la decisione di emigrare insieme al marito, per inseguire un sogno di libertà e di autonomia dalla famiglia di origine anche a costo di dover scendere a compromessi con un uomo da cui ora Paolina viene a dipendere completamente. Più importante di tutto diventa allontanarsi dalla famiglia, dal paese e da quella piccola tomba, troppo piccola e prematura per non significare una ferita che non si rimarginerà mai, uno strappo dalle origini tanto prematuro quanto profondo.
Quando, dopo tredici anni di vita matrimoniale, Paolina decide di farla finita con i soprusi del marito, si ritrova in una grande città tedesca da sola con quattro figli, di età compresa tra i 12 e i 3 anni: parla poco la lingua tedesca e in città non ha ancora lavorato. Con il coraggio della disperazione, per molti lunghi anni, Paolina lotta per restare a galla, lavorando in 7 (sette) “privati” (pulizie domestiche in case di persone retribuite senza versamento di contributi) più un lavoro fisso che la porta prima in una panetteria, dove lavora di notte come impastatrice e poi nella cucina di una mensa aziendale. Da sola, per molti lunghi anni, Paolina dorme poche ore giorno dopo giorno e riesce a vedere i figli solo per un’ora, mentre prepara, da brava mamma italiana, il pasto serale, sempre caldo, sempre teneramente servito a tavola. Un pasto che spesso Paolina non riesce neanche a consumare insieme ai figli, perché deve uscire per il lavoro serale. Per fortuna riesce a responsabilizzare precocemente le figlie maggiori, che ora fanno da mamme al più piccolo. Poi, ecco l’uscita dal tunnel, soprattutto grazie al sacerdote della Missione cattolica e all’assistente sociale tedesco che l’aiutano a trovare un appartamento dignitoso e un lavoro che le piace. Ma ora che può dire di avercela fatta, ora che i suoi figli sono grandi e che le hanno già dato dei nipotini che l’adorano, ora che i colleghi di lavoro la stimano e l’apprezzano, Paolina è una giovanissima nonna, sfinita, sfinita dalla solitudine, dalla fatica di portare avanti da sola una famiglia. E nel suo cuore è nato e si è radicato un sentimento così forte che le fa paura. E più le fa paura più si rafforza, questo sentimento, che poi — come dice lei – è “solo” il desiderio di amare un uomo ed esserne ricambiata, un sentimento che non ce la fa a diventare futuro e si nutre di nostalgia. Chissà che, invece, da quando ho cambiato città e non mi vedo più con Paolina le cose non siano cambiate, che la sua attesa e nostalgia non si siano incontrate con un’altra attesa e nostalgia… Dài, coraggio, Paolina, la fortuna può sempre cambiare !
Il viaggio
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