Ritorno in Italia

Non sarei arrivata a tanto: amavo la vita ed ero, come tante, piena di sogni e di speranze. Siccome la morte di una detenuta in carcere avrebbe fatto scalpore, mi rimandarono al campo. Penso che mi abbiano arrestata perché una giovane di Torino, della quale non ho mai saputo il nome, venne da me invitata per parlarmi di tante cose riguardanti la situazione dell’Italia e la lotta politica da organizzare al nostro rientro ed organizzare un nostro eventuale rientro. Probabilmente era sorvegliata. Non credo che siamo stati gli unici a subire cose del genere. Quando (dopo mille difficoltà) riuscii a sposarmi e rimasi incinta, mi rimandarono per un breve periodo a Les Avants. Mi trovai fra 600 ebrei ungheresi, i soli che si erano salvati dalla “soluzione finale” per vari casi fortuiti. Se dovessi narrarti i casi tragici di cui venni a conoscenza dovrei scrivere non so quante pagine: ancora, del resto sono i soliti casi tremendi che tutti conosciamo, ti dico solo che non c’era neppure una famiglia al completo. Si respirava un’aria da tragedia greca, pochissimi conoscevano l’italiano. Mi sentivo triste e sperduta quando, un giorno, udii tre uomini e un sacerdote che parlavano in italiano, non so spiegarti quanto la cosa mi abbia fatto piacere: mi accostai e mi presentai: uno era un certo pittore Altomare, un altro un dottore del quale ho dimenticato il nome e il terzo era quello che doveva diventare il nostro migliore amico in senso assoluto: Aldo Borlenghi, di lui non ti parlerò altrimenti non riesco più a fermarmi. Io parlavo sempre di mio marito che si trovava a Lajoux, e fu proprio lì che Aldo fu mandato. Naturalmente fra i due nacque una, grande amicizia. Poco tempo dopo il nostro ritorno a Milano lo incontrammo per caso e da allora la nostra amicizia fu interrotta solo dalla sua morte. Tornati in Italia affrontammo, come tutti le varie difficoltà che si presentavano.