Paesi di emigrazione
RussiaData di partenza
2001Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Dopo una pausa in Italia di qualche mese, nel 2001 Fabrizio Bettini torna per la seconda volta nei territori che circondano la Cecenia, dove la presenza di profughi rende tangibile la sofferenza provocata dalla guerra in corso con la Russia.
11-12 ottobre 2001 (In viaggio)
Ancora una volta il nostro viaggio per il sud parte da Volgograd e in treno. Siamo arrivati in Russia ormai da circa dieci giorni e dopo la burocrazia di rito siamo pronti per iniziare qualche cosa al fianco delle vittime di una delle tante guerre del Caucaso. Non mi faccio illusioni, troppe volte nell’ultimo anno e mezzo abbiamo sperato di cominciare qualche cosa ma non ci siamo riusciti. La differenza, questa volta, è che ci sono le condizioni per vivere in Caucaso, a Vladikavkaz in Ossezia del Nord. Non so descrivere il mio stato d’animo, il mio ultimo periodo in Italia non è stato dei migliori e la partenza mi ha pesato molto. Fortunatamente i primi giorni di “acclimatamento” a Volgograd sono stati positivi. Essere ospite nella comunità terapeutica dell’APG 23 è stato come essere in famiglia ed è stato istruttivo, per l’ennesima volta, vedere che i tre ragazzi in programma stanno crescendo nel loro cammino. Un nuovo ospite è nella casa, rispetto alle mie visite nei mesi precedenti, si chiama A. e fino a qualche mese fa la sua casa era la strada. L’avevo conosciuto, infatti, alla chiesa ortodossa, punto di ritrovo per i senza dimora a Volgograd. Delle volte era ubriaco delle volte meno. M., che per conto della APG23 si occupa di essere vicino a queste persone, gli è amico anche se A. non ha mai avuto nessuno, fin da bambino, e lo ha convinto ad iniziare una nuova vita. A. ha bisogno di essere amato e di essere considerato; da queste parti, ma anche in Italia, queste persone non contano, normalmente, niente. Anche A. è tra gli amici che ci accompagnano fino al treno e che ci aiuta con i bagagli che sono, i miei, eccessivi. Il viaggio inizia con le stesse immagini dei viaggi precedenti ma i colori autunnali non danno più, all’ambiente, quella brillantezza estiva, ma neanche il definitivo grigiore invernale. Le solite fabbriche alla periferia di Volgograd passano veloci, imponenti e decadenti come sempre. Le scritte sui loro tetti: “Gloria al lavoro…Gloria alla metallurgia sovietica” ricordano sempre un passato regime e forse anche un lontano splendore. Osservo la gente che aspetta alle stazioni che attraversiamo, gli operai che lavorano ad una linea ferroviaria, la gente per strada e mi chiedo che cosa stiano pensando, vivendo e quali siano le loro storie. Penso a me, alla mia storia e i CSI mi danno parole: “lo sto bene, io sto male, io non so dove stare. lo sto bene, io sto male, io non so cosa fare”. Mi scorrono davanti le numerose dacie con i loro orti curatissimi che aiutano gli abitanti della città a sopravvivere. Nuovamente mi trovo di fronte al famoso canale Volga-Don; una nave si trova tra una chiusa e l’altra. Il libro che sto leggendo mi porta indietro nei secoli, chi lo scrive è un viaggiatore e studioso polacco, tale Jan Potocki, che tra il 1797 e il 1798 compiva un viaggio simile al mio proprio in Caucaso. Scendendo verso sud più o meno sul nostro percorso scriveva: “Infine ho lasciato le contrade del Don per entrare in quella lingua di terra che separava quel fiume dal Volga e da allora sono sempre salito in modo sensibile, per trenta verste. Da ciò si può concludere che l’antico progetto di scavare in questa zona un canale non era di facile esecuzione.” Più di due secoli dopo il canale è lì, con i suoi simboli di regime ad adornarne le chiuse! Ormai è buio fuori e, cullato dal treno, continuo nella lettura del diario di Potocki che pare viva gli stessi miei timori rispetto ad un problema caucasico che pare non abbia tempo. …”In questi giorni ho anche incontrato una principessa cecena, che è stata condotta ad Astrakan dai rischi della guerra. E’ a suo modo molto bella e ben educata, vale a dire che sa il turco come Io si sa parla a Chirvan. Nonostante questo non è però in grado di sconfiggere i pregiudizi sul suo popolo. Trova, infatti, che un paese dove non si ruba sulle grandi strade ha qualche cosa di monotono e di noioso ed un fazzoletto rubato le fa più piacere di una collana di perle che le venisse comprata. Dice che dopo l’inizio del mondo i principi della sua famiglia hanno sempre rubato sul cammino per Tiflis, o su quello di Tarku e che per niente al mondo vorrebbe che i suoi parenti e i suoi amici sapessero che lei ha sposato un uomo che non vive di rapina. Tali sono i costumi del Caucaso, ai quali bisogna aggiungere un grande disprezzo per la vita, un grande rispetto per l’ospitalità e l’amicizia, con un’estrema inclinazione per la menzogna e la perfidia, eccetto che a danno dei propri amici, che non è permesso ingannare.” Già nei giorni precedenti un amico russo mi aveva messo in guardia sui pericoli che si possono incontrare in Caucaso ma anche sulla grande lealtà nell’amicizia. Dormo bene e per calmare la mia “ansia da viaggio” traggo dalla memoria un bel ricordo che mi aiuta ad addormentarmi. La mattinata prosegue in treno, siamo in tre e al termine di una breve preghiera P. legge un brano di Tonino Bello che mi aiuta. “Siamo stati colti di sorpresa da eventi straordinari e proprio in un momento storico di profonda crisi economica e di valori. Lo scenario del mondo sta cambiando e noi ci troviamo tra diluvio e arcobaleno. Quanti guasti, quante miserie, quanta sofferenza, quante ingiustizie, quante torture affliggono l’umanità! Non è difficile prevedere che masse di disperati tenteranno nell’immediato futuro di spingersi verso l’Europa industrializzata. tuttavia ci sono i segni premonitori del tempo che verrà. L’anelito di giustizia, di pace, il volontariato, il bisogno di essenzialità: sono questi i segni dell’arcobaleno. Ai giovani dobbiamo dire che bisogna moltiplicare gli sforzi di progettualità e di elaborazione, per disegnare gli scenari di un mondo nuovo; devono sapere che è prioritario combattere l’egoismo il particolarismo. E’ necessario pensare meno al proprio condominio, uscire dal proprio caseggiato e, senza dimenticare la necessità di risolvere i problemi del pianerottolo, allungare lo sguardo sul mondo, mettendosi al servizio dell’umanità. Bisogna riscoprire il profumo della gente, che ha sete di giustizia, di pace e di solidarietà. Nel Vangelo possiamo trovare la risposta a tutti i problemi di quest’uomo angosciato. Dobbiamo partire dai poveri e dagli ultimi, per andare poi verso tutti.” Penso a tutte le situazioni di conflitto che in questi giorni stanno scoppiando, penso all’Afganistan ma anche all’Abcazia e alla Cecenia, penso quanto mi sento impotente di fronte a tutto questo ma comunque in viaggio con un sogno e una speranza nel cuore. Penso come a volte è bello “ignorare” di come sia stato facile, nei giorni precedenti, far finta che i bombardamenti sull’Afganistan fossero più lontani da me solo perché la lingua dei notiziari non era la mia. Ancora una volta la lettura mi conforta, il mio “amico” Potocki sembra vivere un turbamento simile al mio. “Benedico quindi la lieta meditazione, che mi regala piaceri solitari e pacati nel mezzo dell’orribile caos in cui è precipitato il nostro secolo. Imperi rovesciati, reami smembrati, altri riuniti, altri ancora che vacillano! Sembra di vedere gli scogli delle Simplegadi che, urtandosi gli uni contro gli altri con fragore spaventoso, schiacciavano gli uccelli attirati nel loro turbine. Felice di non essere uno dei travolti, mi appresto a passare l’inverno ai piedi di quel monte famoso, antica culla delle origini che ricerco, ove sarei ancora più felice se potessi ignorare le cose del mondo attuale. Ma l’antro più selvaggio non è affatto al riparo dalle notizie del tempo e i clamori delle gazzette…” Continua il viaggio e ormai siamo scesi dal treno (a Piatigorsk) e saliti su di un autobus alla volta di Vladikavkaz. L’autobus parte da Liudmilla, paese-mercato, il più grande del Caucaso si dice. L’automezzo è stracolmo di persone e di cose. Penso che la maggior parte degli uomini e delle donne che vi trovano posto siano piccoli commercianti che venderanno la mercanzia comprata oggi in piccoli mercati periferici, alcuni sono forse venuti solo per comprare un pezzo dell’auto da riparare o a fare spese in vista dell’inverno. In mezzo a queste persone stoniamo ma è bello starci. Durante la prima parte del viaggio in autobus la mia “ansia da viaggio” aumenta, curo tutto con un bel ricordo e un po’ di sonno. Appunto sul mio bloc-notes: “Cerco di pensare a cose mie, cose belle!”. Passano i kilometri e la mia ansia si attenua vedo molti campi e ai bordi della strada moltissimi baracchini, vere e proprie capanne, dove si vendono pomodori. Continuo la lettura ma la puntigliosa descrizione di Potocki mi fa venire un brivido di paura, racconta dei rapimenti da parte dei briganti ceceni e dice: “Dapprima i ceceni, nascosti nella boscaglia, sparano ai cavalli e ai loro conduttori, dopo di che piombano sul viaggiatore e gli mettono in bocca una sorta di bavaglio, costituito da un bastone fissato da una correggia che fa il giro della nuca. Se il viaggiatore non cammina di buon grado lo legano per le braccia e per le gambe e lo portano sino alla riva del Terek. Là gli fissano degli otri sotto le braccia e gli mettono al collo una corda con un nodo scorsoio. Poi tutti si gettano in acqua e due nuotatori lo tirano per questa corda: il viaggiatore è obbligato a tenerla con tutte le sue forze, sotto pena di strangolarsi da solo. Arrivati ben presto sull’altra sponda, ci si rimette a cavallo e ci si addentra nelle montagne. E’ in questo modo che i Ceceni hanno spinto la tattica dei rapimenti al livello di perfezione più alto possibile. E’ raro che uccidano un viaggiatore da cui sperano di trarre un buon riscatto; ma non risparmiano i domestici e i postiglioni.” Arriviamo finalmente a Vladikavkz e l’autobus passa su di un ampia via costeggiata dai soliti palazzi tutti uguali di stile socialista. L’architetto, però, pare si sia concesso un po’ di “controrivoluzionaria” fantasia. Le vetrate dei balconi, infatti, anno delle particolari forme rotondeggianti che qualche condomino ha deciso, però, di sostituire con delle più lineari e rigorose finestre standard. Al settimo piano di una di queste case da una finestra di forma rotondeggiante, una giovane, bella ragazza osserva annoiata la strada sottostante. E’ strano, in mezzo alla dinamicità del momento: la strada, le macchine, un passeggero che scarica veloce i suoi numerosi bagagli; sono forse l’unico a notarla. Arriviamo alla stazione degli autobus e vediamo la fine del nostro viaggio che si conclude con una corsa su di una cadente ziguli (macchina di produzione sovietica su vecchi disegni fiat) guidata da un taxisista molto caucasico che ci conduce presso la sede della Caritas dove ci attendono i nostri amici. Dopo i saluti ci conducono a quella che sarà la nostra casa nei mesi a venire. Si tratta di un piccolo appartamento in centro città in via Carlo Marx. La casa è stata abitata da un anziana fino a poco tempo fa ed è piena di tappeti, ci sono i ricordi e i libri, un panorama di una città della Kamciatka (quella del Risiko), le foto di un uomo che in una sembra più vecchio e ha delle medaglie appuntate sulla giacca. Prima di addormentarmi e di “arrivare del tutto” mi siedo su di una poltroncina coperta da un tappeto e Potocki mi regala l’ultima chicca della giornata: “La lingua osseta non presenta affatto le stesse difficoltà del circasso; al contrario, tutti i suoni sono distinti e facili da rendere con il nostro alfabeto.” Sorrido, domani si comincia! ciao Fabrizio.
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