Mestieri
marinaioLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
PalestinaData di partenza
1947Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Il mercantile “Giovanni Maria” trasporta ebrei clandestini dall’Europa alla Palestina, nel 1947. Mario Giacometti fa parte dell’equipaggio che riesce nell’impresa di eludere la marina britannica per far sbarcare gli emigranti a Tel Aviv.
Il 21 di settembre verso le 4 del pomeriggio mancavano poco più di una trentina di miglia al luogo dell’appuntamento dove doveva avvenire lo sbarco. Tutto era già stato concordato in precedenza con il gruppo che doveva appoggiarci a terra e prendere in consegna i profughi.
Il mare calmo, una bassa onda lunga che proveniva probabilmente dal Golfo della Sirte, dove qualche giorno prima c’era stato un grosso fortunale. Una leggera foschia limitava la visibilità a non più di un paio di miglia, bonaccia di vento, le vele ancora a riva fileggiavano per l’inerzia della velocità data dai due motori, 6,5 nodi circa. Imbrogliammo la velatura anche per essere meno visibili.
Ora si era nella fase più rischiosa, gli inglesi, pattugliavano quelle coste oltre che con mezzi navali, anche con aerei da ricognizione, arrivati a quel punto sarebbe stata veramente una scalogna nera essere presi. L’ottimismo era alle stelle, comunque fosse andata noi avevamo fatto tutto il possibile, ora eravamo nelle mani di Dio: quella benedetta foschia evidentemente ne era una prova. Ammon radunò tutto l’equipaggio e i suoi compagni in timoneria per prendere gli ultimi accordi per lo sbarco.
Ci fece vedere il punto preciso dove ci aspettavano.
Si trattava di una non molto grande insenatura ad una quindicina di miglia a Ovest di Tel Aviv tutto fondale in sabbia come la piccola spiaggia che si trovava sul fondo la quale dato il suo fondale permetteva anche ad un bastimento come il nostro di avvicinarci a circa una trentina di metri prima di toccare con la carena a prua e fermarci un pò di sbieco, mostrando alla costa il lato sinistro.
Riducemmo la velocità per arrivare all’orario stabilito, sul luogo dell’appuntamento. Il radiotelegrafista era in continuo ascolto con la loro base a terra.
Alle 10 circa di quella stessa sera l’ancora a poppa toccò il fondo, poco dopo aver filato circa 150 metri di cava, la carena a prua toccò la sabbia, il bastimento, che aveva pochissimo abbrivo, si fermò dolcemente con il fianco sinistro un pò obliquo rispetto alla terra.
Sulla spiaggia vedemmo accendersi diverse piccole luci, erano i nostri. Dopo pochi istanti avevamo già sotto al nostro bordo una diecina di gommoni, trainammo ogniuno un cavo legato a dei picchetti fissati nella sabbia che noi legammo al nostro bordo, servivano come una teleferica, dove i più coraggiosi e che evidentemente sapevano nuotare vi si aggrappavano portandosi a terra, molti vidi che non si servivano neanche delle corde e andavano a terra per conto loro, con il poco bagaglio che avevano legato sulle spalle.
I meno abili come bambini, donne, anziani venivano portati sulla spiaggia con i gommoni. Un’ora prima il “capo” aveva avvertito dell’imminente sbarco, tutti dovevano stare ai loro posti, con il bagaglio a portata di mano e aspettare l’ordine degli addetti prima di salire in coperta.
Tutto andò, come meglio non si sarebbe potuto, nessun incidente di rilievo, levato senz’altro qualche piccola contusione, ciò in un caos del genere era pressoché inevitabile. Ho detto caos, non è senz’altro la parola giusta perché tutto era regolato con una disciplina unica.
Il viaggio
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