Sciarmutte

I giorni sono lunghi e lenti, siamo impazienti al pari degli Ascari di metterci in movimento. Abbiamo ormai girato e percorso in lungo e in largo tutto il villaggio senza tralasciare di fare una visita alle famose sciarmute. Una specie di recinto di rami spinosi dove si allineano due capanne sembrano volere distintamente separare le capanne così dette buone da quelle cattive. Entrando l’ingresso è squallido e umido. Un odore strano di erbe e di sostanze non definibili fluttua qui dentro; le abitatrici si avvicinano curiose, timide e sorridenti. Sembrano tante bestie rare. Donne dai volti neri, dai lineamenti puri, smilze; altre dai volti rilucenti con tanti idoli buddisti. Sono graziose fanciulle dalle membra esili e tornite e dalle carni color di bronzo, le cui labbra tumide sembrano tese nell’offerta perpetua di un bacio. Queste creature sono ben formate ed i loro corpi si rivelano agili ed estetici. I seni, di raso, stupiscono per la loro purezza estrema sotto la specie di vestaglia che li ricopre, le braccia sorprendono per la toro tornita armonia, le spalle ed i toraci rivelano una meravigliosa plasticità ed i ventri appaiono come coppe rovesciate, di un colore bronzo cupo. Quasi tutte biascicano qualche parola d’Italiano e qualcuna ha avuto la fortuna di vedere l’Italia. Riferiscono le loro impressioni con quel loro parlare, che caratteristico riesce nello sforzo della bramosia di una lingua ad esse sconosciuta. Negli amplessi non sono poi cosi travolgenti come comunemente si crede e non a torto, pensando che chi in clima caldo vive, conseguentemente caldo anch’esso si riveli. Nella richiesta del compenso sono piuttosto esigenti; non ci facciamo gran caso, poiché in linea di massima lasciano abbastanza soddisfatti e finanche non dimentichiamo che siamo in Atrica, lontani da Mogadiscio e che in seguito dovremo farne una lunga penitenza.