Mestieri
studenteLivello di scolarizzazione
frequenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1937Data di ritorno
1942Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)La nuova quotidianità di Francesca Pennacchi, emigrata in Etiopia nel 1937 per raggiungere il padre, viene minacciata da una notizia che irrompe il 10 giugno 1940: l’Italia ha fatto il suo ingresso nella Seconda guerra mondiale.
E’ il dieci Giugno del millenovecentoquaranta, nell’aria c’è come l’attesa di qualcosa di drammatico; rimbalza da una bocca all’altra la parola ‘Guerra’, parola che già avevo sentito pronunciare, quando ero in Italia, dalla mamma e dalla nonna varie volte; dicevano spesso, quando noi ragazzi non volevamo mangiare qualche cibo: “Se aveste vissuto durante la ‘ Grande Guerra’, e allora parlavano di fame, di angoscia, di miseria, di epidemie, di morte; accresce la mia inquietudine il parlottio della mamma e del babbo quando siamo tutti a letto e intorno a noi c’è un assoluto silenzio; credono che Miriam ed io si dorma: ” Dovrai partire anche tu….” ” Vedrai che tutto si risolverà, può darsi che non si arrivi a tanto qui in Africa resteremo fuori dalla guerra” “ma se partirai come farò da sola con le bambine, lontana dai parenti, senza nessuno che ci protegga in questo paese lontano, sperduto e con pochi soldi” “Non ti preoccupare, se mi richiameranno ti daranno il sussidio e le autorità italiane provvederanno a mettervi al sicuro e poi forse non partirò”. Ancora questa parola: ‘partire’, che mi fa sentire come se avessi il vuoto tutto intorno a me invece delle pareti di cicca, ricoperte da carta da parati celeste a fiori blù, tra le quali mi sono sentita fino ad ora felice e sicura. Mi addormento pregando, ma la mia preghiera è strana, fatta di frasi brevi e spezzate, che seguono pensieri e sentimenti altrettanto confusi: “La guerra no, Signore; non può il babbo lasciarci sole fa, o mio Dio, che non sia vero”. Dopo aver pregato, anche se confusamente, mi addormento sicura di essere stata ascoltata in cielo.
E’, come al solito, una giornata splendida e il sole splende gioioso nel cielo, Dora aspetta di essere munta e il caprettino saltella in giardino, eppure sembra che qualcosa di brutto stia per succedere. Stiamo per metterci a tavola quando il postino porta una cartolina grigia; la mamma la tiene in mano senza leggerla e guarda il babbo con lo sguardo disperato; il babbo la prende, la legge, ci guarda dolorosamente e dice ciò che non vorremmo sentire: ” Devo partire per Massaua dove mi imbarcheranno. “; la sua voce non è ferma ma cerca di sorridere: ” Vi scriverò tante tante lettere e presto tornerò con regali meravigliosi! “, si capisce che il suo ottimismo è falso e sprofondiamo nello sgomento. Noi saremo sole qui, lui sarà solo in mare e potrebbe non tornare. Sento di nuovo ostilità per questa terra che ho creduto d’amare, la sento nemica, piena di insidie, come il giorno del nostro arrivo, quando non avevamo una casa; mi riprende acuta la nostalgia dell’Italia, anzi di Carrara, della mia nonna, dei miei cugini, delle serate sempre uguali ma tranquille, dolcemente tranquille e uguali, che si susseguivano l’una dopo l’altra scandite dai racconti degli adulti: ” Una volta ” e dai rintocchi delle campane del Duomo; allora sognavo un futuro vago sì ma sereno come il presente, senza alcuna nube; ma forse anche ora tutto andrà a finire bene . Oggi è il giorno della partenza del babbo, che invano cerca di apparire tranquillo, come se andasse a fare un viaggio di lavoro; abbraccia me e Miriam insieme e noi scoppiamo a piangere -meno male che questa volta piange anche lei! – Anche la mamma, che ho sempre pensato non avesse lacrime, piange, e lui, il babbo, dopo averla abbracciata a lungo, le asciuga le lacrime con una carezza e poi si allontana senza dire nulla; lo sguardo dei suoi occhi, ancora più chiari così pieni di pianto, me lo racchiudo nel cuore. E’ sera e la casa è terribilmente vuota e triste; apro la bocca per dire qualcosa, per rompere questo silenzio così doloroso che mi opprime, ma le parole non mi escono, restano in gola confuse in un miscuglio di sentimenti che sono dentro di me e mi fanno stare malissimo. Ad un tratto la mamma prende il coltello più grosso che abbiamo, il più lungo e tagliente, e lo mette sotto il cuscino della sua branda; la guardo spaventata, ma lei con voce tranquilla: Se dovesse venire qualche malintenzionato ora che non c’è il babbo guarda il cuscino sotto il quale è nascosto il coltello e sorride scherzosa, come per iniziare un qualche nuovo gioco. Miriam prende anche lei un altro coltello, ne guarda attentamente la punta e completa il pensiero della mamma: ” Ci difenderemo! ” Sono sicura che con la sua fervida immaginazione mia sorella già si vede lottare con qualche uomo armato e nerboruto, e magari con più di uno, ma a me quei coltelli aumentano la paura. Andiamo a letto dopo aver chiuso bene porta e finestre, e il silenzio si fa ancora più profondo; ognuna di noi ora è sola con i suoi pensieri e i suoi timori; mi sembra di sentire il battito dei tre cuori come se fosse il mio solo.
Il viaggio
Mestieri
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frequenza elementarePaesi di emigrazione
EtiopiaData di partenza
1937Data di ritorno
1942Periodo storico
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