Mestieri
cooperanteLivello di scolarizzazione
Paesi di emigrazione
Repubblica democratica del CongoData di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Di mano in mano, i componenti della famiglia Venturin scrivono un diario collettivo della loro esperienza di vita in Congo, negli anni Novanta. Ora è il turno di una della figlie di Silvano, che racconta il suo approccio con la scuola locale.
SCUOLA
È quasi da un mese che andiamo a scuola. Ci siamo inseriti abbastanza bene a quanto pare, comunque resta sempre una cosa difficile. Non so neanche quasi una parola in francese, le compagne di classe sono sempre pronte a chiedere, chiedere e chiedere ancora, perché io sono europea e loro non hanno soldi essendo africane. Mi viene qualche volta anche difficile compatirle, ti soffocano … A scuola imparano tutto a memoria, durante la ricreazione giocano con delle palline di plastica (una per classe) e se la gettano a vicenda cercando di non farla toccare da quelle che si trovano al centro. Una specie di settimana è giocata dalle più piccole ed essa viene disegnata con un mattone sul cemento del marciapiede. I professori picchiano ancora gli allievi con la bacchetta e se sul quaderno non c’è la copertina di carta di giornale, il maestro prende il quaderno e lo strappa. Non bisogna mai mettere le scarpe per entrare in classe e sei fai cadere un righello o una penna vai dritto difilato in fondo alla classe con le ginocchia per terra. Se il professore ti vede mentre stai copiando dal libro durante un’interrogazione ti spedisce dal preside che ti ammonisce una punizione. Le classi sono piccole, buie, con dei banchi di legno sgangherati, dappertutto polvere, terra e pezzi di carta dimenticati sotto i banchi. Ogni tre giorni tocca ad un gruppo di ragazze pulire la classe perché pagare un bidello diventa troppo costoso. Le ragazze sono raggruppate in tre gruppi nella classe. Nella prima fila stanno le più brave a numero di due per banco, nella seconda fila stanno le cosiddette “moyennes ” e in fondo, contro il muro stanno le peggiori. Sono sempre le solite a rispondere alle domande e la più parte delle volte non sanno come riassumere un testo o cosa significa una parola. Anche qui il professore le castiga. Mentre si studia c’è sempre un brusio di voci dappertutto, ma questo non è importante perché gli africani, questo l’ho già capito, non possono vivere in silenzio. Non danno mai i compiti da fare a casa, perché appena uscite da scuola le ragazze devono correre a casa, cucinare il cibo per i fratelli e il padre dato che la madre è andata ai campi, cercare la legna, pulire il manioco, metterlo nel mortaio e pestarla. Andare al mulino costa troppo, e poi i mariti non vogliono spendere soldi “per niente”. Alla mattina del lunedì le ragazze devono essere in divisa (bianco- verde ) e se non lo sono vengono rispedite a casa. Il preside incomincia a fare la predica della settimana in francese, ricordando che si deve studiare, che bisogna impegnarsi, aiutare i genitori, i fratelli, i poveri, cercare di non spendere i soldi per niente e pregare. Dopo la predica le ragazze si allineano davanti alla classe con la faccia rivolta verso il convento delle suore belghe. I pugni serrati lungo le gambe, i piedi accatastati l’un l’altro intonano in coro l’inno nazionale e come d’incanto dalle quattro scuole del posto si innalza un coro di voci che cantano in un francese stentato. Poi, dato che non è ancora finito, la suora belga intona la preghiera mattutina: “NOME PERE…” e tutte la seguono sommessamente. Il segno della croce, la levata delle scarpe, l’entrata in classe, il saluto al professore, lo studio fino alle tredici.
Io mi trovo abbastanza bene, ma il mio unico grande problema resta ancora la lingua francese. Adesso studio con un professore privato e mi sento molto meglio che in quella classe buia e piena di insetti. Mi fanno schifo gli scarafaggi, grossi come degli elefanti. Ancora grazie perché almeno non mi entrano nella sacca dei libri… Tante paure mi passeranno, lo so, ma ora siamo ancora agli inizi. La nostra scuola è stata fondata una ventina di anni fa circa, da alcune suore belghe di uno dei tanti ordini religiosi che ci sono al mondo. Alcune tra loro insegnano nelle scuole, altre lavorano all’ospedale, altre ancora restano rintanate nella loro tana e non ne escono mai. La scuola è situata in un luogo bellissimo. Su una collina. Davanti a noi vediamo le vallate, le case, i villaggetti i boschetti di eucaliptus che circondano l’ospedale, la scuola Primaria sulla destra, e la foresta sulle montagne più alte.
Davanti all’ufficio del preside e davanti alla sala degli esami ci sono dei grossi contenitori per raccogliere l’acqua piovana che servirà poi per lavarsi i piedi prima di entrare in classe o per annaffiare i fiori che crescono tutto davanti alle classi. Questo mondo è diverso che quando racconto quello che faccio e vedo qui ai miei compagni ed amici italiani essi stentano a crederci. Ma questo non è che l’inizio di un lungo cammino che abbiamo deciso di percorrere con i nostri amici africani.
Il viaggio
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