Mestieri
medicoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Croazia, LibiaData di partenza
1946Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Dopo l’occupazione della Jugoslavia da parte dell’Italia fascista, i sentimenti patriottici degli italiani di etnia slovena si risvegliano. Vladimiro Pahor è uno di loro.
Dopo l’invasione della Jugoslavia da parte dell’Italia, le argomentazioni all’interno delle nostre riunioni cambiarono: se prima si parlava della nostra conservazione etnica, poi si cominciò a ipotizzare l’eventualità, prima utopica, di una possibile unione del litorale sloveno, dall’Italia alla Jugoslavia. Alle riunioni compariva altra gente, che non erano studenti. Si parlava di organizzare la raccolta di cibo e vestiario per i prigionieri del campo di concentramento di Gonars, che l’Italia aveva organizzato per i sovversivi sloveni. L’Italia aveva occupato parte della Slovenia formando la provincia di Lubiana. Ha fatto subito una grande pulizia della gente che doveva imprigionare e spediva nei vari campi di concentramento. Le autorità civili e militari, non solo fasciste, nella terminologia ufficiale, forti della loro fu-millenaria cultura, riferendosi alla gente slovena, usavano chiamarli “allogeni”. Gente di infima classe. Circolavano varie notizie: si diceva che parte dell’armata jugoslava si fosse ribellata all’occupazione tedesca e si fosse ritirata nei boschi. Lí chiamavano cetníchi (guerriglieri), li comandava il generale Mihajlovic. La stampa italiana dí questo non ne parlava, e neppure la radio. Per il resto, a Savogna d’Isonzo, allora, c’erano due apparecchi radio ed un telefono: le notizie andavano di bocca in bocca, sottovoce. Allora, nelle nostre riunioni a Gorizia, si decise di stampare un foglio per poter informare di quanto accadeva e dei programmi della nuova organizzazione. Realizzare questa idea non era semplice: chi, come e dove poterlo fare? Si decise di stamparlo in ciclostile. Bisognava comprare la macchina da scrivere, il ciclostile, le matrici, la carta e l’inchiostro, tutto in modo da non destare sospetti durante l’acquisto. Dopo lunghe discussioni su dove stampare e chi l’avrebbe realizzato, si decise di incaricare me, con la motivazione o scusa, che nel paese avrei potuto camuffarmi e sfuggire al controllo della polizia più facilmente. Dopo circa quattordici giorni, fine maggio del ’41, mi portarono tutto l’occorrente per poter iniziare il lavoro. Portai il tutto nel campanile della chiesa di Savogna d’Isonzo, di notte, con molta fatica e con varie acrobazie. Mi sistemai nella stanzetta che si trova proprio sopra le campane, sulla punta del campanile. Non dissi a nessuno dove mi ero sistemato ed ero quasi certo che nessuno l’avrebbe saputo. E, difatti, nessuno l’ha mai saputo, né allora, né durante il mio arresto, né dopo. Entravo ed uscivo soltanto di notte o nelle ore prima dell’alba, periodo solitamente con meno traffico. La cameretta aveva quattro feritoie, che di notte io coprivo per nascondere il bagliore delle candele alla luce delle quali stampavo. Ogni tanto spegnevo le candele e arieggiavo l’ambiente soffocante e caldo. Non era affatto piacevole quando le campane battevano le ore o quando il sagrestano invitava alla messa con le campane. Mi tappavo le orecchie, mi scuoteva tutto il corpo, tanto da farmi male. Non era piacevole nemmeno quando, durante il temporale, qualche fulmine colpiva il campanile. Allora avevo veramente paura.
Il viaggio
Mestieri
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laureaPaesi di emigrazione
Croazia, LibiaData di partenza
1946Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Vladimiro Pahor
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Medico in Libia
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