Mestieri
scienziatoLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
RussiaData di partenza
1960Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Luglio 1960, il malariologo italiano Gabriele Gramiccia arriva in Unione Sovietica per una missione ufficiale dell’Organizzazione mondiale della sanità. La prima tappa è Mosca e le prime ore vissute in città si trasformano in uno straordinario racconto della capitale russa nel pieno della “guerra fredda”, osservata attraverso gli occhi di un occidentale colto e non politicizzato.
4 .7.1960
Arrivo a Mosca in aereo verso le 3 del pomeriggio. I passaporti vengono ritirati alla sortita dall’aereo, da un ufficiale che li scruta e ci scruta a lungo, uno alla volta, prima di farci uscire sul cemento dell’aeroporto. E’ la prima fila. Lungaggini alla dichiarazione doganale (valuta e oggetti suscettibili di essere venduti), ma non c’é nessuna visita del bagaglio. La restituzione dei passaporti avviene a vista tra la folla. L’ufficiale non chiama i nomi, ma guarda la fotografia di ciascun passaporto, e si guarda intorno tra la calca cercando di riconoscere il titolare della fotografia e con aria grave gli restituisce il documento. Questo procedimento, naturalmente, prende un po’ di tempo. Sono a ricevermi due funzionari del Ministero e un interprete. Con un taxi percorriamo i 30 km; dall’aeroporto verso Mosca, sull’autostrada Leningrado-Mosca. Noto una casa a due piani con 4 finestre per lato su ciascun piano, che ha 13 antenne di TV sul tetto. Quante famiglie vi abitano? All’albergo Sovjetskaya, la “receptionist” é una tipica funzionaria seccata dal pubblico. Il Dr. Bruce-Chwatt che doveva arrivare da Ginevra con l’aereo alle 16 é evidentemente in ritardo. Risulta impossibile telefonare all’aeroporto per avere notizie dell’aereo; ci rinunciamo dopo un’ora di prove. Egli arriva finalmente alle 19; cena in albergo, piuttosto cattiva, ma c’é un’orchestra di 12 persone là dove 3 sarebbero pure troppe. Il cameriere presenta un conto di 64 rubli; protestiamo. Dice che per sbaglio ci ha dato il conto di un altro tavolo. Ci fa un conto di 42 rubli. La somma é sbagliata. Paghiamo 32 rubli: il 50%. Usciamo e andiamo in filobus per l’Avenue Gorki verso il Cremlino. Bruce-Chwatt, che é nato a Leningrado da genitori polacchi (il padre era ufficiale dell’esercito zarista) parla perfettamente il russo. Scendiamo prima del Cremlino e continuiamo a piedi. Stazione della Bielo-Russia, monumenti a Gorki, al fondatore di Mosca, a Mayakovski; macchine per il caffè espresso, italiane, nei caffè. La piazza del Cremlino: da un lato torri rosso scuro, mura gialle e tetti verdi. Splendida prospettiva: sulla piazza Rossa, la chiesa di S. Basilio è un giuoco di ragazzi costruito da adulti: assurda, ma canta come un metallo sonoro (fig. 1); barbarica ma sognante, irregolare, chiama la neve per aggiustarvisi con la forma e il colore. Le mura del Cremlino sono tragiche, truci. Si ha l’impressione che tutto puo’ succedervi, rinchiuso in una forma cosi’ assolutisticamente tetra. Cinque giovani ci abbordano separatamente per chiederci dollari o sterline (offrono 50 rubli per una sterlina, cioè il doppio del cambio ufficiale). Un altro vuol venderci icone del XV secolo. Ragazzini ci chiedono francobolli, cheming-gum e monete. Altri ci chiedono matite Biro. Alcuni ci dànno in cambio piccoli distintivi di propaganda; due studenti di Istitilio Tecnico ci fermano sul ponte della Moscova per poter parlare inglese. Ci chiedono il contenuto del “Dr: Zivago” di Pasternak. Uno dice che il mio acceendisigari é “simpatico”. Capisco un po’ quello che dicono in russo a Bruce-Chwatt: Sono disinvolti e intelligenti. Altri si accostano, per dollari o sterline. Spie, agenti provocatori, o sono i famosi ragazzi traviati (blousons noirs) di cui parla la stampa sovietica? Sono vestiti distintamente e elegantemente e appaiono più “benestanti” degli altri. Il colore del cielo, ormai è quasi notte, é un blu scurissimo ma contenente della luce e su questo sfondo di notte, tra le cupole di S. Basilio e il Cremlino, la luna appare come una proiezione gialla. La stella rossa sulla torre brilla-di luce elettrica come una macchia di luce indovinata sullo sfondo del cielo: le donne e le ragazze guardano impudentemente negli occhi con labbra pronte. L’estate qui è calda anche di notte. Al ristorante dell’albergo Moskva si mangia e si balla al secondo piano; c’é un’orchestra di otto persone e una donna trombone che tra waltzers e terribili ballabili del 1910 suonati a ritmo funereo, canta pezzi di vocalizzo senza saperlo fare. Al primo piano si serve caffé, gelati e amarene: i prezzi del ristorante (non per stranieri-turisti) sono la metà o meno di quelli del nostro albergo. Alle 10 e mezzo di sera i negozi alimentari sono ancora aperti. C’é un’abbondanza proporzionale di pasticcerie. 100 gr. di prosciutto cotto = 120 lire, ma una scatola di caramelle = 4.000 lire; vestiti confezionati da 330 a 880 rubli (20.000 – 54.000 lire). Una conduttrice di filobus ci chiude la porta in faccia e parte; altre donne rimaste a terra con noi commentano: “Solo una donna conducente fa cosi’, un uomo non lo farebbe mai!” e protestano e discutono animatamente. Tutti ci riconoscono come stranieri e sono affabilissimi e pronti a indicare, consigliare, guidare. Conclusioni della giornata. La corruzione dunque esiste anche a Mosca. Molti dei ragazzi si pettinano col ciuffo rialzato davanti come gli equivalenti di Londra, Copenhagen, Roma; é uno degli aspetti più internazionali della città. Gli abitanti del centro di Mosca sono borghesi (o si sono imborghesiti?) rispetto a quelli delle altre più recenti “democrazie popolari” forse ancora impaurite. Certo non é il volto ufficiale quello che abbiamo visto questa sera. Al ritorno in albergo, un signore ubriaco (ne abbiamo visti tre per la strada in tre ore) vuole una stanza per sé e per la ragazza che è con lui. Lo mettono violentemente alla porta. Mi informano che l’albergo Sovietskaya é l’antico Yar, casino militare, citato da Tolstoi, che vi faceva andare Vronski quando si recava a Mosca. I piedi mi fanno male; é quasi l’una. Buona notte.
Il viaggio
Mestieri
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