Mestieri
militareLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
BosniaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Il racconto della partenza del maggiore Ippolito per Sarajevo, nel 1996, destinato a una missione di Peace keeping nella ex Jugoslavia.
Il 20 gennaio 1996 è iniziata la mia avventura, nell’ambito della Missione nella ex Jugoslavia e nel quadro dell’Operazione “JOINT ENDEAVOUR” con la Brigata Multinazionale Sarajevo Nord, che fin dal primo giorno, ha segnato la mia vita, lasciando un ricordo indelebile quanto bello, ricco d’esperienze entusiasmanti e di tanta umanità. Erano circa cinque mesi che, trasferito da Persano a Caserta, lavoravo nell’Ufficio OAI (OIA sta per Operazioni Addestramento e Informazioni) del Comando Brigata bersaglieri “Garibaldi” con l’incarico di Capo Sezione Operazioni e Addestramento. Il lavoro era molto interessante, mi soddisfava, nonostante la distanza che giornalmente dovevo percorrere tra Salerno e Caserta e viceversa. Spesso ero fuori per delle riunioni o attività addestrative in molte città anche di nazioni europee. Inoltre, negli ultimi due mesi, il Comando Brigata si era trasferito a Persano in provincia di Salerno, (dove, tra l’altro, avevo trascorso i miei primi 12 anni di servizio) per effettuare attività di amalgama tra tutto il personale che avrebbe poi costituito il Comando del contingente, ed i preparativi per questa nuova avventura che ci avrebbe portato in Bosnia Erzegovina, a Sarajevo, in una terra che era stata teatro di tante atrocità, in poche parole in una “zona di guerra”. In questo contesto era evidente che, purtroppo, avessi poche possibilità di stare con la mia famiglia. La mole di lavoro assorbiva il mio tempo per circa dieci, dodici ore il giorno, sabato e domeniche comprese. Arrivato gennaio 1996 la partenza si avvicinava sempre di più, alcuni colleghi, costituendo l’avanguardia del contingente, erano già partiti ed erano ormai a Sarajevo da qualche giorno. Dalle loro comunicazioni si capiva che la situazione non era poi tanto rosea. Praticamente si appoggiavano, logisticamente al contingente francese che era dislocato a Sarajevo ed erano, comunque, considerati “ospiti”. Era la prima volta dopo il secondo conflitto mondiale che l’Italia partecipava ad un’operazione fuori del territorio nazionale ed era la prima volta che una Brigata, la Brigata bersaglieri “Garibaldi”, era impiegata, nella sua completezza, in un teatro d’operazioni, fuori dei confini nazionali. I preparativi per la partenza, quelli personali intendo, erano iniziati già da diverso tempo. Cosa mi potrà servire in un paese distrutto dalla guerra e lontano tanti chilometri dalla mia città? Era la domanda che mi ponevo di continuo. Avrei voluto portare tante cose con me, le limitazioni, invece, dettate dal trasporto aereo mi hanno impedito di portare tutto ciò che avrei voluto. La mia dolce e splendida moglie mi ha preparato con cura ed amorevolezza tante cose oltre ad un corredo specifico per sopportare, nel migliore dei modi, il clima freddo ed umido dei Balcani che, proprio quell’anno, aveva raggiunto i massimi storici in fatto di temperature. Qualche libro, il mio computer portatile (non riesco a farne a meno ovunque) ed un discreto quantitativo di cancelleria spicciola erano il mio bagaglio veramente personale. La mattina era iniziata alle 05.00 (non nascondo che la notte era trascorsa tra mille pensieri, ero combattuto tra la voglia di avere questa esperienza e la disperazione di lasciare la mia famiglia, mia moglie ed i due miei figli, per sei lunghi mesi) con la sistemazione delle ultime cose nello zaino.
Giunto all’aeroporto di Napoli mi sono ricongiunto con i componenti del Comando Brigata ed abbiamo atteso l’arrivo dell’aereo che, come già pronosticato, aveva un ritardo di circa quattro ore a causa delle condizioni meteo avverse. Il tempo trascorreva molto lentamente e tra un caffè ed una chiacchiera con mio fratello, si erano fatte le 12.00 circa. Certamente ero imbacuccato come se stessi per partire per una spedizione al polo. Maglione di lana (oltre a maglietta intima per climi artici), calzamaglie da sci e giacca a vento imbottita. Eravamo tutti molto tesi, non lo esternavamo in modo palese ma sono certo che ognuno di noi, in quel frangente era combattuto tra la voglia di partire e la voglia di non lasciare i propri affetti per sei lunghi mesi. Si parlava, si scherzava, ma sempre con molta discrezione, non erano i soliti discorsi tra colleghi, erano, la maggior parte, domande, incognite.Tutti erano desiderosi di partire per sapere, rendersi conto, di persona, di ciò che avevano visto in televisione per mesi.
Dopo circa due ore sono arrivati i due aerei, ma nel frattempo si era fatto anche buio e, saliti a bordo, abbiamo preso posto a caso iniziando, così, il volo verso Pisa dove, scaricatici sulla pista, ci hanno detto di attendere per prendere posto sull’ormai “famoso” C 130 che ci avrebbe portati a Sarajevo. Nelle vicinanze era “parcheggiato” il C130 Hercules ed era proprio quello che ci avrebbe trasportato in Bosnia. Arrivato il Comandante dell’aereo ci ha radunati ed ha voluto farci un briefing: …. “Signori, stiamo per partire, ma prima volevo farvi alcune raccomandazioni ed illustrarvi quale sarà il percorso e le tecniche di volo che utilizzerò. Voglio innanzi tutto dirvi che quest’aereo è dotato di un dispositivo d’inganno per i Radar nemici e, una volta raggiunta la zona di operazione, dovrò spegnere i riscaldamenti all’interno della carlinga ed effettuare un “volo tattico” necessario per cercare di evitare l’eventuale fuoco della contraerea”. Bene, le premesse non erano proprio delle più rosee, comunque, eravamo pronti a partire. La distanza doveva essere coperta in circa un ora di volo, in condizioni normali ma …… dopo circa mezz’ora di volo “tranquillo” l’aereo incomincia a scendere in picchiata vertiginosa, si spengono i riscaldamenti e le luci interne. Un gelo avvolge la carlinga, gli occupanti, me compreso, si guardano quasi atterriti da questa nuova “condizione” e, molti incominciano a pregare. Anche io ho pregato, come non mai, con una intensità ed una forza mai avuta. Probabilmente l’incognito di ciò che stava succedendo e le condizioni particolari del momento avevano un peso particolare, per questo tutto sembrava più vero. L’aereo vira a sinistra, poi picchia, poi risale, quindi vira a destra, riscende e risale in modo vertiginoso, infine giù senza dolcezza, senza dare la possibilità di pensare. Si pregava solamente, a mani giunte. Penso che chi non lo facesse in modo palese, comunque pregasse in modo “intimo”.
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