Mestieri
insegnante, ristoratriceLivello di scolarizzazione
diploma magistralePaesi di emigrazione
PerùData di partenza
1953Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)I Bacchelli sono diventati genitori di un bimbo di nome Sandro. Dopo aver vissuto per diverso tempo a Lima, il nuovo lavoro del capofamiglia li porta in una hacienda sulle Ande.
Bacchelli cambiò ancora lavoro e zona. La famiglia si trasferì sulle Ande in un’azienda agricola a 4000 metri d’altezza sul livello del mare. Era quella una “hacienda” molto vasta, con pascoli immensi dove brucavano pecore Merinos in quantità enorme, pecore speciali che davano lana per molte fabbriche di Lima. Sotto un tetto di cielo blu lei alzava lo sguardo verso l’orizzonte, e vedeva un magnifico panorama ai piedi dell’Huascaran, un nevaio alto 6768 metri. Un azzurro come colore di cielo, mai immaginato, eppure ben vivo ancora dentro di lei.
Il fiume scorreva lento vicino a casa specchiando quel nevaio e il blu di quel cielo. Una comunità di Indios abitava la borgata vicino alla casa madre dell’hacienda, dove loro vivevano. La famiglia Bacchelli, composta di due genitori e del loro “cholito”, erano le uniche persone venute da Lima. Erano lassù isolati da tutti, in un ambiente rarefatto a causa dell’altezza. A casa scriveva sempre lunghe lettere: “Sto bene, sono ingrassata, il figlio mio cresce bene anche a 4000 metri sul livello del mare. Abitiamo una baita formidabile e siamo circondati dai nevai eterni della Cordillera Blanca: Huascara, Huandoy”.
Lettere che poi andavano ad imbucare all’ufficio postale di Ticapampa, piccolissimo centro minerario dove c’era una Chiesa, un’infermeria con un medico e gli uffici delle miniere sparse nella zona, più i capannoni che erano le basi dove arrivavano i minerali per essere poi mandati a Lima.
Il mercato, dove fare la spesa per il consumo quotidiano, era un centro abitato più grosso, più in basso, chiamato Huaraz, ed era parecchi chilometri più lontano. […] Bacchelli a volte partiva a cavallo con “los peones” per raggiungere zone isolate dove c’erano pecore merinos alle quali praticare l’inseminazione artificiale, e rimaneva fuori anche tre o quattro giorni, mentre lei rimaneva sola col suo “cholito” Sandro. Facevano lunghe passeggiate, mamma e figlio, girovagando nei dintorni, scoprendo le abitudini degli Indios della Sierra, cercando di capire la loro apatia, il loro masticar coca, giovani e meno giovani, studiando i loro lineamenti. Che tristezza su quei visi e che devastazione in quelle bocche nere e senza denti. Non parlavano e non guardavano, come se intorno a loro la vita non esistesse. Analfabeti tutti o quasi, vestivano il poncho tessuto in casa dalle loro donne con un rudimentale telaio. In testa avevano tutti il “chullo”, cuffia di lana di pecora o di alpaca coloratissima terminante in un codino alto e finendo sotto le orecchie fino a chiudersi sotto la fola. Vestivano pantaloni di panno ruvido che arrivavano fino a metà gamba, i loro piedi scalzi appoggiavano su degli infradito di caucciù fatti da loro.
Le donne invece portavano sette sottane, l’uno sull’altra, di lunghezza midi, variamente colorate e un cappello rigido in testa di varia forma e colore che dichiarava la loro zona d’origine e la posizione sociale: “vedova, sposata, nubile. Sulle spalle portavano la “manta”, tessuta a mano da loro stesse, a colori vivacissimi.
In questa manta, tenuta ferma sul davanti da uno spillone, erano messi i bimbi piccolissimi, appena nati, e portati sulle spalle a contatto diretto del corpo della mamma. Qui il piccolo rimaneva per tutto il giorno e tutti i giorni, fin quando non imparava a camminare.
Il viaggio
Mestieri
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PerùData di partenza
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