Mestieri
psichiatraLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
IndiaData di partenza
2002Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Venuti a conoscenza della sua professione di medico, in molti chiedono a Giuseppe di essere visitati. L’umanità che si presenta al suo cospetto e molto varia e malmessa.
Madaplathuruth (House of Fraternity), 25 novembre 2002, 1 ora locale
È stata una domenica particolarmente laboriosa. Nei villaggi hanno capito che sono medico e oggi alla missione ho visitato un gran numero di persone, soprattutto bambini. Nell’ordine ho visto: una donna con la cefalea, un bambino con l’influenza, un altro con gli esiti di una parassitosi ossiurica, un uomo con una insufficienza mitralica, un ragazzo di 13 anni, che non respira perché abita in una casa senza porte e senza finestre. Lui e la madre vedova la notte scorsa sono stati assaliti da un uomo e lui si è sentito incapace di difendere la madre. Alla fine sono andato a visitare a casa una donna anziana con una bronchite asmatica, a cui il medico indiano ha prescritto la terapia giusta, ma con una certa abbondanza di farmaci, anche tenuto conto del fatto che ogni farmaco deve essere acquistato in proprio. L’altra grossa differenza rispetto a noi è che i medici indiani non vanno a domicilio e non si muovono dagli ospedali. La scelta governativa è di aprire piccoli ospedali, credo distrettuali, dove stanno i pochi medici disponibili, per le visite ambulatoriali e per i ricoveri. Hanno un numero esiguo di posti letto, in condizioni igieniche spaventose. Chi è in attesa di un posto letto, sta steso sulla propria stuoia fuori della porta sotto una tettoia. L’ospedale ti passa la visita medica e il letto, tu devi portarti da casa la biancheria, il cibo e ti devi comprare le medicine che ti prescrivono. Poi ci sono gli ospedali più grandi, che sono privati e che rispondono a varie fondazioni o chiese, come ad esempio il Lourdes Hospital della diocesi cattolica. Qui si possono avere anche le prestazioni più raffinate ovviamente pagando. I ragazzi e i volontari hanno visto nei giorni scorsi uno di questi ospedaletti e ne fanno una descrizione sconvolgente. Francesco non riusciva a trovare le parole per definire veridicamente quell’ambiente. L’ha paragonato ad un nostro squallido garage. Le pareti coperte di crepe e ragnatele, i materassi rovinate e maleodoranti, i letti rugginosi, tutto il pavimento coperto da polvere e sporco. L’aria era irrespirabile, intinta della tristezza e della sofferenza di qual luogo. Francesco racconta che è dovuto uscire dopo pochi minuti per lo stordimento: non ha capito come la gente lì potesse curarsi. Questa mattina siamo andati al mare: abbiamo visto il luogo dove secondo i cristiani di rito siriano è approdato l’apostolo Tommaso nei suoi pellegrinaggi. È giunto fino a Kabul. Poi un villaggio di pescatori, fatto tutto di capanne in riva al mare, con una miseria spaventosa, dove ci dicono che nella stagione dei monsoni piove nelle capanne come fuori. Infine sulla spiaggia nell’insenatura di un braccio del delta del fiume, dove i pescatori gettano le reti secondo il modo primitivo importato dalla Cina, oltre mille anni fa, con una rete quadrata, retta da quattro lunghe pertiche unite da un canapo in un unico centro, che viene calata per immersione attraverso una leva di legno con un sistema di funi e pietre che funzionano da contrappesi. Io e Chiara abbiamo fatto il bagno: l’acqua era scura perché l’oceano alza la sabbia dal fondo, ma era calda come in una vasca da bagno. L’oceano è potente, ogni tanto arriva un’onda possente la cui risacca ti trascina al largo.
Il viaggio
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