Mestieri
rappresentante di commercioLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
Argentina, GermaniaData di partenza
1974Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri) Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Siamo all’inizio degli anni Settanta, e Pietro, diplomato da un anno, è disoccupato. Ha deciso di emigrare in Germania.
Il treno era zeppo di passeggeri, ognuno portava enormi valigie. Per andare al gabinetto bisognava scavalcare valigie stipate-nei corridori, sulle quali sedevano quanti non erano riusciti a trovare posto negli scompartimenti. Nonostante i finestrini fossero aperti, faceva un caldo boia. A notte inoltrata poi faceva freddo. Da un certo punto in poi il freddo non ci lasciò più. Avevamo oltrepassato Bolzano, ci arrampicavamo su per le Alpi e scendevamo dall’altra parte. La lingua da quel punto in poi, risultò un insieme di suoni incomprensibili, non esercitava più la sua funzione di comunicare ma trasmetteva solo timore, come quando si è presi in flagrante e non si sa che cosa rispondere. Arrivammo! Vedevo luoghi che somigliavano a quelli visti nei libri di storia o nei film sui tedeschi dell’ultima guerra. Loro le guardie con i fucili spianati, noi i condannati nei lager. Le loro “parole” avevano il suono di quelle dei “capò” come nei film che tanto mi avevano impressionato. Prendemmo dimora nel ghetto di baracche dove i nostri lavoratori abitavano quando uscivano dai cancelli vigilati delle fabbriche. Io, più fortunato, dormivo nella stanza di una pensione che era sopra un locale dove la gente andava a bere birra e dal quale usciva a notte avanzata, quasi sempre ubriaca.
Il letto era schiacciato contro un angolo della parete, l’imbottita era buona ma corta. Succedeva che mi coprivo i piedi, o mi coprivo la testa. La testa dovevo coprirmerla per forza perché la finestra era senza tapparella e senza tende e la luce la mattina presto mi svegliava.
Il giorno dopo del nostro arrivo fummo presentati alla fabbrica e cominciammo subito a lavorare. Il mio amico assieme al fratello, che già si trovava là da due anni, ed io in un’altra fabbrica assieme al padre del mio amico che lavorava là da diciotto anni. Si entrava al mattino e si usciva la sera, questo per la prima settimana. Poi cominciammo a lavorare nei turni.
I giorni passavano e intanto si andavano accorciando. Venne il tempo in cui la mattina entravamo che ancora non era completamente giorno ed uscivamo quando era già completamente buio.
La luce, il sole quanto mi mancavano! La mattina presto faceva freddo. In groppa alla bicicletta che mi avevano prestato per poter prendere in tempo l’autobus, correvo con il cuore in gola per il timore che si staccasse la catena. Davo giù di pedale per arrivare in tempo alla stazione, da dove partiva l’autobus della ditta che ci avrebbe portato in fabbrica. Ma non c’era niente da fare, arrivavo comunque in ritardo. La mattina non riuscivo a svegliarmi in tempo. Il vento mi faceva lacrimare gli occhi, questi velati e con ancora il buio, appena ci vedevo. Immancabilmente tutte le mattine arrivavo per ultimo, appena salivo sull’autobus partiva.
Sull’autobus nessuna parlava. C’era la radio accesa che, in sottofondo, trasmetteva musica classica, dopo pochi minuti tutti dormivano. Varcavamo il cancello che era giorno.
Il viaggio
Mestieri
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