Mestieri
pedagogistaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Burundi, SomaliaData di partenza
1996Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Novembre 1997. Dopo un anno di lontananza dall’Italia, interrotto solo da un breve viaggio, per Silvia Montevecchi è giunta l’ora di rientrare a casa, lasciandosi alle spalle lo straordinario lavoro fatto in Burundi come cooperante.
13.11.97, giovedì , Bujumbura
Sì, credo proprio sia l’ultima lettera, perché sono ormai sul piede di partenza. Il contratto dei primi due mesi è stato rinnovato fino a novembre, ma il 29 parto davvero, non ci saranno altri rinnovi. E come già a giugno, riassaporo il gusto difficile degli addii.
Già soffro di nostalgia, perché è da agosto che sono qui, ma non mi è più stato possibile tornare a Muyinga, perché il mio lavoro è qui in capitale.
Non mi è più stato possibile rivedere quei bambini, né le piste tra gli eucalipti, e i marais con le ninfee.
Rileggo le tante lettere che vi ho spedito in questi mesi (sono arrivata qui esattamente un anno fa) e penso che sono contenta di avervi scritto, perché già tanti ricordi sarebbero sepolti dal tempo, se non potessi rileggerli. Come vi dissi una volta, scrivere è un po’ come fotografare: uno strumento che aiuta ad amare di più. Ritrovo tante sensazioni, quasi perfino gli odori. Ritrovo ogni faccia, ogni bambino. Quelli a cui abbiamo portato i vestiti, la piccola Chantal che mi chiedeva i quaderni, il ragazzino che mi seguiva rotolando con un bacchetto il cerchio di una ruota. Rivedo quei cenci sporchi, quelle capanne miserabili. Quelle vite così in balia.
Non ho più rivisto nulla di tutto questo, in questi ultimi mesi. Ho fatto un lavoro d’ufficio, ore e ore di computer. Certo, è meno gratificante. Non si ha questa sensazione diretta di rapporto con persone vive.
Eppure, eppure anche in questi mesi non ho mai smesso di pensare che il mio lavoro era per questi bambini. Perché spero di realizzare per loro dei bei libri, che diano loro la possibilità di sognare, di conoscere altro da ciò che vedono e toccano ogni giorno.
Sono sempre stata estremamente convinta che la gente di qui non avesse affatto bisogno delle scuole di tipo occidentale, che stesse meglio, molto meglio, prima dell’arrivo dei bianchi. E lo sono tuttora. Solo che ormai non si può più tornare indietro. Della ricchezza culturale delle popolazioni del centr’Africa non è rimasto quasi più nulla, specie dopo queste ultime guerre.
E sono altrettanto convinta che quello all’istruzione e all’educazione è uno dei più importanti diritti dei bambini. Per questo tengo tanto a questi libri.
Lasciare la gente nell’ignoranza è sempre stato, ed è tuttora in tanti paesi, il sistema migliore e più economico per tenerla nell’oppressione. Come si può manovrare bene chi non ha nessuna coscienza dei propri diritti!
Lasciare questi bambini senza libri, senza strumenti di formazione e di informazione, vuol dire crescere cittadini che non sanno neppure di essere cittadini, con dei diritti civili e politici. Vuol dire crescere un gregge, non un paese.
Da quando sono qui, poco a poco, con le persone dell’agenzia del ministero che si occupa delle scuole elementari (il B.E.R., Bureau de l’Education Rurale) abbiamo cominciato a costruire un programma per realizzare i libri di testo per i bambini. E’ stato un lavoro difficile perché la loro formazione, non per loro colpa, è molto scarsa.Non riuscivano proprio a capirmi quando parlavo di cose per noi ormai ovvie, come “approccio interdisciplinare” o “metodologie attive e partecipative”.
Ho dovuto scrivere una marea di cose che non avevo previsto, a fini formativi. Ma è stato molto bello. Perché le persone hanno sempre voglia di crescere. Sono i sistemi intorno che, spesso, lo impediscono.
E ora, finalmente, ci si capisce. Vedo l’entusiasmo, la voglia di fare. Mi dispiace un po’ andare via ora, perché temo che senza qualcuno che tira le fila il tutto possa cadere nel nulla. Per questo è stato nominato un responsabile nel gruppo di lavoro, che è un tipo in gamba, sveglio, giovane. E sto cercando di lasciare più idee e materiali possibile prima della mia partenza. Ho anche lasciato tutti i sussidiari delle elementari che avevo raccolto quando sono venuta ad agosto, e approfitto qui per ringraziare quanti me li hanno dati. Non avrei potuto lavorare senza. Anche se sono in italiano, sono fondamentali per far vedere alcuni aspetti di comunicazione con i bambini e anche sulle tecniche didattiche, che non avrei potuto spiegare solo a voce.
Il progetto di Unicef-Burundi per il ’98 prevede la realizzazione dei primi due libri, per la 1° e la 2° elementare. Io avevo proposto la realizzazione complessiva, dal 1° al 6° anno. Mi hanno detto che viste le risorse umane e le competenze disponibili era troppo ambizioso. E’ vero. La mia fretta è data dal pensare che questi bambini continuano andare a scuola senza un accidente di niente. Del resto, è da generazioni che vanno avanti così, dunque, come dice il mio capo burundese, “se riusciremo a realizzare i tre cicli in tre anni, sarà già un grande risultato”. Del resto, come dicevo, un paese che investe in educazione è un paese “coraggioso”. Qui, all’educazione è dato il 7 % delle risorse disponibili, alla salute il 3%. Pare che alle spese militari vada il 49 % ! (… da qualche parte bisogna pur mettere i soldi…).Sappiamo bene che è un problema che tocca anche tanti paesi ricchi. I servizi sociali sono sempre i primi ad essere tagliati, mai la difesa.
Volevo essere a casa nel periodo delle pesche e delle ciliegie. Quando le finestre sono aperte e il tendone in cucina fa entrare una luce rossa e l’odore dell’estate. Ci sarò con le luci del Natale, le bancarelle di Santa Lucia, la mostra missionaria alla chiesa di S.Francesco, le caldarroste, il panettone.
Sono contenta di tornare a casa. Sono felice di avere passato un anno qui.
Il viaggio
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