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RussiaData di partenza
2001Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)La riflessione di Fabrizio, volontario italiano che presta aiuti al confine tra Russia e Cecenia nel 2001, si ampliano al quadro internazionale, includendo le ripercussioni dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, avvenuto in quei mesi, sulla pace mondiale.
16/10/01
Già da qualche giorno siamo a Vladikavkaz ed è troppo presto per dire quello che riusciremo a fare ma, dopotutto, si può considerare un risultato esserci. Qui, dopo il tg della sera, un programma attira la mia attenzione. Si vedono i soldati russi, si raccontano le loro storie, si vedono i funerali degli “eroi”, il cadavere di un capo ceceno. Ci sono immagini di camion e mezzi militari russi che saltano sulle mine e giovani sminatori che cercano di annullarne l’effetto. Un pope in divisa benedice le truppe, e un pilota di elicotteri racconta quanto è bello volare. Immagini rubate ai ribelli ceceni li ritraggono durante un assalto ad una colonna russa uccidendo molti soldati, le voci in sottofondo gridano: “Allah Ahbar!” “Allah è grande!”. Nulla di speciale anche per voi che vivete in Italia, la guerra, quella in Afganistan o altre sono ospiti fisse anche nelle belle case europee, l’unica differenza è che qui a Vladikavkaz in via Karlo Marx la guerra, quella di Cecenia, dista forse cento kilometri o poco più. Oggi abbiamo incontrato chi ci lavora e ci abita più vicino. I ragazzi ceki della Cartas internazionale abitano in Inguscezia e cercano di portare aiuto alle vittime della guerra anche in Cecenia. Noi li abbiamo conosciuti qualche mese fa e ci è piaciuto il loro modo di lavorare: “un lavoro umanamente umanitario” o “umanitariamente umano”. Mi è stato raccontato che qualche mese fa durante un viaggio verso Grozni la loro macchina era preceduta di poco da un blindato russo che è saltato su di una mina proprio sotto i loro occhi. Scesi per dare soccorso ai soldati che stavano sul carro Io spettacolo è stato quello che possiamo immaginare. Altro racconto di oltre confine è quello di un villaggio in Cecenia dove pare che le truppe russe siano entrate per un controllo arrestando dieci giovani sospettati. Qualche tempo dopo altre persone del villaggio hanno chiesto informazioni alle autorità sulla sorte degli arrestati sentendosi rispondere che in quel villaggio nessuno era stato arrestato durante il controllo. Se la storia risponde a verità questo vorrebbe dire una sola cosa: sono morti. Qui a Vladikavkaz ad uno sguardo distratto la vita appare normale, ma se si guarda la cartina di questa parte di mondo ci si accorge che ci troviamo fra due fuochi, da una parte l’Inguscetia e la Cecenia e dall’altra parte la Georgia e l’Abkazia dove da qualche settimana sono ricominciate le ostilità. Questa volta pare che ribelli ceceni, considerati fondamentalisti islamici, siano alleati dei georgiani che sono di fede ortodossa, mentre gli abkazi di fede mussulmana godono della simpatia Russia ortodossa. Il pope che benedice le truppe russe, i ribelli ceceni che ammazzano in nome di Dio, le alleanze invertite in Abkazia ma anche le passate simpatie americane per movimenti islamici che si contrapponevano ai sovietici nella passata guerra afgana mi fanno capire molte cose sugli uomini e poche su Dio. C’è bisogno di Dio per far amazzare gli uomini gli uni con gli altri ma non è il Dio che cerco di pregare tutte le mattine è semplicemente uno strumento nelle mani di pochi per ingannare altri. Non penso che Dio abbia approvato gli attentati alle torri di NewYork ma neanche la “vendetta” occidental-americana di questi giorni. Prima della mia partenza ho sentito che molti italiani, miei vicini di casa, amici, parenti guardano, ora, con sospetto gli immigrati provenienti dai paesi islamici. Se noi non ragioniamo su questa diffidenza indotta e non la superiamo faremo la fine di quelli che in nome di Dio fanno cose che vanno contro la volontà di Dio. Non scrivo queste cose perché sono più saggio di altri o perché penso di poter spiegare la vita agli altri ma semplicemente perché da qui è più facile capire la linearità dell’odio che si alimenta anche con i nostri piccoli pregiudizi e le nostre piccole semplificazioni quotidiane. Qui è dura perché iniziare una presenza al fianco di chi soffre per la guerra e molto complicato e i passi in avanti che si compiono sono quasi invisibili. Tre giorni fa al nostro arrivo qui, avevamo un idea elaborata sulla base del viaggio di quattro mesi fa. Dopo pochi giorni bisogna già ripensare tutto. Speravamo di poter cominciare un piccolo progetto di animazione con i bambini profughi che vivono in un ex colonia alla periferia della città, pensavamo di poter integrare i bambini di un orfanotrofio che si trova in quell’area con i bambini profughi, pensavamo di incominciare a conoscere gli adulti e le dinamiche di emarginazione che si sono prodotte tra i profughi. Pensavamo male! Gli amici della Caritas locale che ci aiutano e ci sostengono ci hanno sconsigliato di iniziare da quei profughi lì. Le motivazioni che ci hanno dato sono molte a partire dal fatto che quelli sono profughi di una guerra finita da dieci anni che da molto hanno avuto la possibilità, anche economica di ritornare a casa ma, per motivi di convenienza, sono rimasti. Ci è stato detto, anche, che quella è gente pericolosa che ci può vendere al miglior offerente. Una punta di rabbia mi nasce dentro il cuore, perché queste cose non ci sono state dette quattro mesi fa? Saranno tutte vere? Di qualcuno ci dobbiamo, però, fidare e alla Caritas ci dicono che da queste parti bisogna andare “passo per passo”. Ci consigliano di iniziare con qualche attività all’interno dell’orfanotrofio e di osservare da soli il comportamento dei profughi che abitano nei pressi. Oggi abbiamo quindi, incontrato il direttore dell’orfanotrofio per proporgli i nostri umili servigi: l’inizio è stato molto freddo ma nel finale abbiamo ottenuto la possibilità di iniziare una piccola attività di animazione previa, però, un incontro con il superiore preposto che ci dovrà dare una sorta di permesso. Domani cercheremo di incontrare questa persona. Mi sento per l’ennesima volta castrato dalla situazione. Tre anni fa ho fatto una scelta chiara, di fede in Dio e all’idea che i civili al fianco di altri civili, vittime della guerra, potesse essere una controffensiva all’odio che dilaga. Ho scelto le vittime delle guerre e in un certo senso, dalla scelta di obiezione in poi, sono stato scelto. Da quasi un anno, però, sto percorrendo una strada che non è la mia. L’esperienza in casa famiglia a Volgograd è stata utile e importante ma, proprio per il fatto di stare lontano dalla mia scelta, è stata anche frustrante e faticosa. Sono consapevole che i poveri sono poveri e che non c’è differenza fra orfani e profughi ma…. Forse sto andando oltre, devo applicare la pazienza e la capacità di attendere che la Russia mi ha insegnato in questo anno. Devo imparare, ancora una volta, ad andare “passo passo”. Qui non sembra ma la vita per uno straniero può essere un appetibile boccone per i lavoranti nel businnes dei rapimenti o delle rapine. Ci è stato detto di non farci vedere con molti soldi in giro; di non cambiare mai i dollari, meglio farlo fare a dei locali fidati; non raccontare dove abitiamo è buona regola; non portare mai nessuno che non sia assolutamente fidato a casa; non girare quando fa buio. Forse per tutti questi pericoli nascosti è utile dare ascolto ai consigli degli amici. All’entrata del mercato dei poliziotti controllano che chi entra non sia armato. Questo stona un po’ con i colori e la vita che vi si sviluppa. Le bancarelle sono piene di prodotti e chi vende e chi compra sembra godere di una vivacità inusuali al di fuori del recinto. Ci raccontano, però che circa un anno fa una bomba esplosa all’interno del mercato ha fatto cinquantotto vittime. Lunedì scorso, in mattinata abbiamo assistito al lavoro del punto di distribuzione della Caritas. La gente arriva per ricevere un piccolo aiuto d’emergenza in cibo, vestiti medicine e altri beni utili. Abbiamo incontrato alcune donne cecene. Una ha “adottato” quattro bambini che a causa della guerra sono rimasti senza genitori, racconta di stare a Vladikavkaz ma di non avere un posto stabile dove abitare in vista dell’inverno. Cerchiamo di scambiare qualche parola con lei che è loquace e allegra, ma tutto d’un tratto, come se avessimo girato una chiave, le lacrime segnano il suo volto ci racconta dei bambini che si è presa in carico che nel frattempo si stanno “rubando” dei cioccolatini chiusi nella borsa della donna. Un altra donna raggiunge la stanzetta dove vengono distribuiti gli aiuti, dopo aver riempito gli immancabili moduli. Si tratta di un anziana, ma forse lo è solo ai miei occhi, e più silenziosa di chi la preceduta, ha cinque figli di cui ha dei documenti con se che sono utili per riempire le carte di rito. Con in mano il documento della figlia dice: “Guardate che bella era!”. Era bella perché, forse, l’ospedale psichiatrico dove è ricoverata l’ha imbruttita. Pare che la guerra abbia ferito la figlia dell’anziana cecena con una ferita che si vede meno di quella dei proiettili o delle mine ma che segna l’anima e la ferisce. L’indirizzo della signora è particolare, Inguscetia campo profughi…. blocco due tenda sette. Abbiamo deciso, se è possibile di far visita alle persone aiutate dalla Caritas forse partiremo con la signora con i quattro bambini adottivi. Penso che l’importante sia non perdere mai la speranza e credere che un giorno gente semplice come voi e me fermeranno piloti kamikaze, bombe intelligenti e fucili stupidi.
Buona Notte Fabrizio
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