Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
UngheriaPeriodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo due anni di sofferenze, nell’agosto del 1945 la famiglia Di Franco riesce finalmente a riunirsi, a Roma.
Io rimasi nell’orfanotrofio a Bucarest fino al 4 agosto 1945, quando la cugina di De Gasperi, credo presidentessa della Croce Rossa Italiana, venuta a visitare i soldati italiani nei ‘Ari campi di prigionia in Romania, fu pregata dalla Legazione d’Italia di riportarmi in Italia. Lei accettò. Così su un aereo militare britannico volammo fino a Brindisi. Non so perchè non a Roma. Dormimmo in una specie di pensione tormentate dalle cimici che ci pizzicavano. La mattina dopo con un autobus partimmo per Roma dove arrivammo la sera. Questa volta andammo all’albergo Santa Chiara vicino al Pantheon. La Signora mi disse che l’indomani mattina presto doveva ripartire e non sapeva a chi lasciarmi. Provò a telefonare al Ministero degli Esteri ma alla sera non vi era nessuno. Mi disse di cercare di ricordare il nome di qualche amico di mio padre a Roma. Chiusa in camera cominciai a pregare in ginocchio la Madonna – a quell’epoca ero molto religiosa – e ad un tratto mi venne in mente un nome: Onofrio Moretti. Corsi dalla signora che telefonò a questo signore che effettivamente era nell’elenco telefonico, ma non era in casa. Chiedemmo alla donna di servizio se conosceva i Di Franco e lei disse di si. Per poco non svenivo. Ma fu subito una delusione. Al numero di telefono che ci diede non rispondeva nessuno. Passai una notte terribile. La signora alle sei del mattino chiamò di nuovo quel numero e come per miracolo rispose mio padre. Pianti di qua e di là del telefono. Si precipitò a venirmi a prendere. Per poco non lo riconoscevo. L’avevo lasciato il 3 aprile del 1944 un uomo robusto di 49 anni che pesava 100 chili – con i capelli neri corvini – e ora mi trovavo il 6 agosto del 1945 davanti un vecchio magrissimo con i capelli completamente bianchi, eppure erano passati solo un anno e quattro mesi. Erano le sofferenze di Mauthausen che l’avevano ridotto così, e ancora non si era ripreso. Ma l’importante era che era vivo. È impossibile descrivere la commozione sua e mia nel riabbracciarci. Mi portò dove abitava con mia madre e mio fratello. Non aveva detto niente uscendo perché sia mia madre che mio fratello dormivano. Così trovai solo mio fratello perchè mia madre nel frattempo era uscita. Bussai alla sua porta – dormiva ancora —sentito che ero io cacciò un urlo. Ci siamo riabbracciati fra le lacrime di gioia. Ero l’ultima ad arrivare come “gamba corta”. Tornavo proprio il giorno quando buttarono bomba su Hiroshima.
Il viaggio
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