Mestieri
dirigente d'aziendaLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
Stati Uniti d'America, Svizzera, FranciaData di partenza
1923Data di ritorno
1944Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Dopo la breve parentesi americana, i Vella sono tornati a vivere a Verona. Quello mussoliniano, intanto, è diventata una vera e propria dittatura.
Mio padre decise che suo figlio non avrebbe mai indossato la camicia nera, e che la sua mente non avrebbe dovuto essere inquinata dalla propaganda del regime. Non fui iscritto a scuola ed ebbi un’insegnante privata che m’impartì a casa i primi rudimenti scolastici. Penso che questa soluzione, per forza di cose, provvisoria, era stata scelta da mio padre convinto che la nostra vita, in Italia, stava diventando impossibile e che una decisione drastica circa l’avvenire della nostra famiglia dovesse essere presa al più presto.
Infatti, poco tempo dopo, la situazione precipitò. Mussolini, per spezzare ogni resistenza dei suoi oppositori, fece promulgare, nell’autunno del 1926, una serie di leggi che distruggevano ciò che rimaneva dello Stato di diritto abolendo ogni libertà ed ogni garanzia giuridica del cittadino. Bastava essere sospettato di attività antifascista o formulare critiche al regime per essere deferiti davanti ad un “Tribunale Speciale per la difesa dello Stato” composto da giudici di comprovata fede fascista. […]
Pochi mesi dopo l’emanazione di quelle leggi eccezionali, mio padre venne a sapere che stava per essere arrestato e che sul suo capo pendeva una proposta d’invio al confino. Era dunque giunto il momento di rompere ogni indugio e di tentare di sfuggire al pericolo incombente, purtroppo, l’unica soluzione possibile, anche se costosa e rischiosa, era l’espatrio clandestino: la dittatura non voleva che i suoi oppositori andassero ad “inquinare” all’estero l’immagine del regime. Gli italiani dovevano o adeguarsi o subire violenza in patria.
Mio padre organizzò allora la nostra fuga dall’Italia in un modo così fantasioso e perfetto da costituire una vera e propria beffa per il regime poliziesco fascista. Le nostre buone condizioni economiche furono certamente un elemento determinante del successo che arrise alla complessa operazione ideata, inoltre, in tempi molto stretti.
Munito di un passaporto falso, mio padre s’imbarcò a Trieste su un battello che collegava sul litorale dalmata alcuni centri divenuti italiani dopo il 1919, con località della costa jugoslava. I passeggeri erano in maggioranza persone di quei luoghi che andavano e venivano abitualmente, per cui il battello assumeva il bonario aspetto di un mezzo di trasporto locale attorno al quale la sorveglianza della polizia italiana era piuttosto blanda. Mio padre, che era in possesso di un biglietto per una destinazione in territorio italiano, riuscì a scendere in un porto jugoslavo. Lasciò che la nave partisse, poi, per rendere più plausibile la sua presunta disavventura, dichiarò alle autorità del porto di aver perso la nave e che, privo dei suoi effetti personali, voleva rientrare in Italia in treno. Egli invece passò in Austria, e da lì raggiunse la Svizzera, dove aveva deciso che ci saremmo rifugiati.
Il suo problema, ora, consisteva nel fare uscire dall’Italia la moglie ed i figli prima che la sua presenza all’estero venisse segnalata alle autorità e che si scatenasse su di loro qualche ritorsione.
Il viaggio
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