Mestieri
insegnanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
CamerunData di partenza
1991Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Temi
ritornoTemi
ritornoUn brutto incidente d’auto rischia di rovinare la decennale esperienza di Isabella Paci in Africa, proprio nel momento in cui sta per terminare. Per fortuna la disavventura ha un lieto fine, e Isabella fa il suo ritorno in Italia.
Inaugurazione… gita a Yaounde… rientro in patria
Partecipiamo alla grande inaugurazione con le autorià del luogo, delle istituzioni, di tutti quelli che hanno dato il loro contributo.
Come è finita?
Soddisfatte del lavoro compiuto, decidiamo di fare un viaggetto alla capitale: in tre, in macchina. La mattina alle sette, partiamo salutate affettuosamente dagli amici. Siamo intorno agli ottanta, chi più chi meno. Nella capitale ci siamo arrivate: alle dieci di sera, in ambulanza! la famosa strada bien goudronée, Ebolowa—Yaunde, ci ha riservato una brutta sorpresa: una lama di macete ha tagliato un copertone della nostra macchina.
Non ricordo, o meglio, non ho percezione di quello che è successo. ricordo la botta, di aver visto Anna finita sotto il volante poi mi sono ritrovata seduta accanto ad un uomo nero alla guida di un fuoristrada. Dietro di me vedo Anna che mi pare in buone condizioni, accanto l’amica mi sembra stia bene, io cerco di parlare ma faccio fatica. Il tizio che guida ci trasporta a a Mbalmayo a circa cento chilometri dalla città di partenza., presso un nostro pronto soccorso. Non funzionano i telefoni in tutto la zona qualcuno torna indietro ad avvertire. Mon Père arriva nelle prime ore del pomeriggio dice che la macchina è da buttare completamente distrutta. Parte per la capitale a cercare un’ambulanza. Io sono oggetto di particolari attenzioni. Mi fanno delle iniezioni e mi mettono in una stanzina. Mi guardo intorno sono in un lettino accanto a me c’è una bella finestra fornita di tendine. Chiudo gli occhi, quando li riapro mi trovo in alto con la testa tocco il soffitto tutto intorno c’è una fitta nebbia, la finestra è in basso, guardo di lato per vedere se c’è Anna. La cosa non mi piace decido di richiudere gli occhi. Sono molto preoccupata: se riapro gli occhi e sono sempre attaccata al soffitto, che faccio? Riapro gli occhi. Tutto è a posto. Io sono di nuovo nel mio letto, la finestra è di nuovo alla mia destra.
C’è finalmente l’ambulanza. Alle dieci di sera sbarchiamo presso l’ospedale pubblico. Un giovane medico mi visita: ho la febbre alta e naturalmente anche la pressione. Mi ascolta il cuore lo vedo preoccupato, lo rassicuro con un sorriso. So di avere un cosìdetto soffio… dalle lontane febbri reumatiche dell’infanzia. Ci sistemano in una grande camerata dove sono già due pazienti. Quella che è accanto al mio letto vedo che ha due donne che l’accudiscono e vedo che si mettono a dormire per terra accanto al suo letto.
Il giorno successivo, il soggiorno nell’ospedale pubblico si rivela pieno di sorprese. Mon Père che deve fare un sacco di cose non può darci una mano ci lascia l’allievo Gutenberg , un caro ragazzo assolutamente inadatto a darci qualche assistenza. Anna gli dà un po’ di soldi perché possa mangiare. Per noi il problema è irrisolvibile: se vogliamo essere curate dobbiamo comprarci le medicine, se vogliamo il cibo dobbiamo comprarcelo.. Non possiamo sperare di vedere un medico perché proprio in questa giornata i medici sono tutti intenti a d onorare con la loro presenza un personaggio importante in visita. Non esistono infermieri.
La paziente del letto accanto al mio deve essere una donna importante (pare che sia la figlia di un capo villaggio): una diecina di persone le fanno corona intorno, e chiacchierano, io ho la febbre alta e li odio ma taccio… non ci resta che chiedere aiuto per alcune cose improrogabili ai parenti delle due pazienti che ci danno un po’ di assistenza. Nonostante la situazione non certo entusiasmante ho anche la curiosità di chiedere al nostro Gutenberg perché mai si chiami così. E’ mio padre che ha scelto il nome. Non indago oltre. Siamo ormai alla sera del giorno successivo all’incidente, giacciamo nei nostri letti abbandonate a noi stesse. Guardo Anna che meno danneggiata si è messa a sedere rivolta dalla mia parte, alla fioca luce di una lampadina io la guardo. Così controluce vedo la sua figura bianca l’aureola candida dei suoi capelli, accanto ha il trespolo che sorregge la fiala del medicinale. Chissà perché mi ricorda un santo: “Anna mi sembri san Pietro” le dico e mi metto a ridere. Ma Anna è preoccupata e non mi sente. Però io ho riso, vuol dire che non sto tanto male, nonostante la febbre e la pressione alte. Il giorno dopo tutto cambia. Mon Père ha lavorato alacremente, recuperando le nostre cose e organizzando la nostra sistemazione per essere efficacemente curate. La clinica in cui siamo trasportate è privata e di un medico camerunese. Ce lo spiega lui stesso. Grazie a un missionario ha potuto studiare in Germania, ha due lauree si è sposato con una tedesca e, tornato in patria, ha messo su questa clinica attrezzata a dovere. Noi abbiamo una suite con salottino e bagno, infermiere dolcissime, che ci lavano, ci curano, ci bucano… insomma ci assistono affettuosamente. .
Il mio letto è vicino ai vari pulsanti per il controllo della luce, del televisore, dell’aria condizionata, o per chiamare le infermiere. Mi diverto, a seconda dei bisogni, ad accenderli e a spegnerli utilizzando le dita dei piedi, rimanendo sdraiata, per evitare dolori vari. È qui che ho avuto il mio primo ed unico attacco di malaria. Brividi terribili dalla testa ai piedi, improvvisi: non riesco a controllare nessuna parte del corpo. Subito due infermieri mi tolgono una goccia di sangue da un dito. Pochi attimi dopo il medico sorridente mi rassicura ” Il y a 115 parassites/ plasmodium falciparum/mm3… niente paura è una modesta forma di palù …L’abbassamento delle difese naturali prodotto dalla fratture delle costole e da una serie di disturbi collaterali ha fatto sì, almeno io ho capito così, che i pochi parassiti che si annidavano nel mio fegato regalatimi da qualche zanzara sfuggita ai miei controlli, si sono allegramente diffusi nel mio organismo. Ma una buona dose di chinino li ha definitivamente debellati. Anna è rientrata qualche giorno prima di me.
Sono rimasta sola, ma tutti della clinica si danno da fare perché non mi senta abbandonata. Persino il cuoco viene a chiedermi che cosa preferisco mangiare… non ho più febbre, non so ancora che ho delle fratture alle costole perché le lastre fatte non le rivelano. Rientro col medico al seguito. Viaggio in prima classe servita con posate d’argento da camerieri neri in guanti bianchi… il medico che mi assiste, mangia troppo (ottimo menu) .”non si preoccupi —gli dico-l’assisto io … Mi piace l’idea di rovesciare la situazione .. mi fa sentire meglio.
Noi due , Anna ed io, concludiamo così la nostra esperienza africana. Anche Mon Père rientra in patria dopo venti anni trascorsi laggiù con un dispendio enorme di energie fatto di viaggi, incontri, scontri, speranze e delusioni, attacchi di malaria e di altre inevitabili malattie tropicali.
La sua Congregazione affida ad altri il compito di far funzionare il tutto. Rivediamo Mon Père a Firenze….poi all’ospedale di Verona. Ricevo la sua ultima lettera, scritta dopo essere ritornato dall’Africa, dove è andato a scavare pozzi per l’acqua potabile. Una delle tante attività che svolgeva parallelamente all’impegno centrale, la costruzione del collegio-scuola per esperti lavoratori del legno.
Il viaggio
Mestieri
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1991Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Gli altri racconti di Isabella Paci
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