Paesi di emigrazione
IndiaData di partenza
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Il fantastico impatto con Londra di Roberta Pedon nel 1970: il lavoro, l’amore, l’indipendenza, la musica. E un viaggio straordinario in programma.
Era l’agosto del 1970, quando atterrai all’aeroporto di Heathrow in tarda serata, molto spaventata e disorientata all’idea dell’ignoto che mi attendeva.
In attesa della consegna dei bagagli, il signore che era seduto accanto a me in aereo e con il quale avevo scambiato poche frasi nel mio stentato inglese scolastico, avendo notato il mio sguardo smarrito, si offrì di darmi un passaggio in città con la sua automobile.
Accettai con sollievo, anche se con una certa titubanza. Non avevo altra alternativa.
Gentilmente mi accompagnò all’indirizzo della casa in cui viveva Roberto.
Suonai il campanello. Il cuore mi batteva a mille. Dopo un’attesa che mi parve interminabile, mi aprì la porta proprio Roberto, un ragazzo sui venticinque anni, non molto alto e incredibilmente magro, i capelli lunghi di un nero corvino legati a coda di cavallo. Indossava dei larghi pantaloni di seta nera sopra una lunga camicia indiana di un rosso acceso, sempre di seta.
Rimasi piacevolmente colpita dal suo look così estroso e per me fuori dai canoni. Non era bello, ma aveva un certo fascino che intrigava.
Mi fece entrare con un caloroso sorriso di benvenuto nel suo minuscolo, ma accogliente appartamento, dove trascorsi la prima notte.
Rassicurata entrai in casa, accolta dal suono di una piacevole musica di sottofondo, con la quale mi sentii subito a mio agio.
Roberto era, lo scoprii più tardi, un tecnico del suono e possedeva una tale quantità di dischi e una cultura musicale da far invidia a un collezionista.
Cominciai a rilassarmi. Mi abbandonai tra i cuscini sparsi sul pavimento, dove avrei dovuto trascorrere la notte, e in brevissimo tempo mi addormentai.
Al mio risveglio ero agitata ed impaziente, fremevo dalla voglia di conoscere la tanto sognata swinging London. Venne a prendermi Sergio, il fratello maggiore di Roberto, che gentilmente si offrì di accompagnarmi e farmi da guida.
L’impatto con la città fu entusiasmante! Londra sprigionava molta energia ed emanava una forza incredibile. C’era un clima di grande libertà: era in atto una rivoluzione culturale. Mi sentivo frastornata e sopraffatta dall’emozione.
Milano era un piccolo paese in confronto.
Con Sergio andai al Kensington Market, un intero edificio affollato da piccole botteghe dove si vendeva di tutto: dagli abiti più stravaganti che avessi mai visto, alle scarpe, alle borse e agli accessori provenienti da ogni angolo della Terra.
La musica risuonava a tutto volume in un’ atmosfera satura d’incensi indiani.
I commessi si spostavano da un negozio all’altro ballando. Elettrizzata mi guardavo intorno stupita. Mi girava la testa, ma mi piaceva da morire, consapevole com’ero di aver trovato l’ambiente di cui tanto avevo fantasticato, sognando a occhi aperti.
Enrico ci venne incontro.
Era un bel ragazzo, poco più grande di me, dai lunghi capelli castani leggermente mossi, con i riccioli che gli cadevano sul collo e che incorniciavano un viso dai grandi occhi marroni, una bocca sensuale e un sorriso malizioso.
Notai una certa somiglianza con Mick Jagger: vestiva e si muoveva come lui, con un guizzo e una spavalderia che m’incantarono all’istante, ma soprattutto con un notevole sex appeal.
Sergio mi mise subito in guardia, consigliandomi di stargli alla larga. A nulla valsero i suoi consigli.
Ero paralizzata. Fu amore a prima vista. Rimasi affascinata dalla sua forte personalità, dall’esuberanza e dal senso dell’umorismo; non era mai banale, ma ironico e brillante. Mi faceva ridere e divertire.
Mi innamorai perdutamente e andammo a vivere insieme, solo dopo qualche settimana dal nostro incontro, in un minuscolo grazioso appartamento nel quartiere di Earls Court.
Con l’aiuto di Enrico, trovai subito lavoro come commessa al Kensington Market. Vendevo abbigliamento. Andavano di gran moda, agli inizi degli anni ‘70, dei pantaloni di velluto di un noto stilista Londinese, Ossie Clark, che spopolavano tra noi giovani. Malgrado il mio incerto inglese, mi impegnavo molto per cercare di parlare meglio e cominciavo anche a diventare una brava commessa, tanto che il mio capo mi nominò direttrice del piccolo negozio, scatenando l’invidia del mio collega irlandese.
Ero felice e spensierata; avevo trovato ciò che cercavo. Che altro potevo desiderare di meglio!
Ogni fine settimana andavamo ad ascoltare musica rock. I concerti si tenevano al Lyceum: un teatro vittoriano che proponeva ogni sabato sera il midnight show.
Lo spettacolo musicale iniziava a mezzanotte e terminava all’alba. Era sconcertante il contrasto tra gli arredi con le decorazioni dorate e i tendaggi di velluto rosso, il pubblico di giovani dai capelli lunghi, dagli abiti dai colori sgargianti, e la musica rock che rimbombava a tutto volume. Seduti o sdraiati sul pavimento ascoltavamo i ritmi dei Jethro Tull, di Emerson Lake and Palmer e altri musicisti emergenti e smaniosi di sfondare nell’effervescente scena del rock londinese. Noi, entusiasti, ci scatenavamo ballando, trasportati dal ritmo della musica e da una gran gioia di vivere. La musica ha il potere di raggiungere molti scopi: può rilassare, eccitare, evocare momenti e ricordi piacevoli, anche se per un breve lasso di tempo.
In questo caso il suo linguaggio ci univa, trasformandoci in una tribù: Il miracolo del rock and roll. Io non fumavo sigarette. Avevo avuto una madre accanita fumatrice, per cui le detestavo, anzi solo l’odore del fumo m’infastidiva. Malgrado lei fosse molto permissiva a riguardo, non ne ero mai stata attratta. Ma quando durante uno di questi concerti provai a fumare per la prima volta l’hashish, mi invase un gran senso di leggerezza.
Il suono della musica amplificato era reso più intenso e mi conduceva attraverso una nuova percezione, con una intensità che non avevo mai conosciuto prima, come se avessi allertato tutti i sensi all’unisono.
La sensazione che mi pervadeva era sublime.
Trasportati dalla musica, tutti insieme ballavamo creando un’atmosfera di innocente e gioiosa complicità. Mi sentivo spensierata e completamente libera di esprimermi. Una mattina, alla fine di uno di questi concerti, incontrammo Giuseppe. Stava organizzando un viaggio in India e cercava dei compagni con cui condividere spese e avventura.
L’idea mi eccitava terribilmente.
Il viaggio
Paesi di emigrazione
IndiaData di partenza
1970Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Gli altri racconti di Roberta Pedon
Auto kaputt
L'Iran dello Shah Reza Pahlavi, l'antica Persia, era lì ad attenderci per essere esplorata. La strada...
L’alba a Kabul
Arrivammo all'alba a Kabul. L'aria era gelida e frizzante, mentre la neve scendeva lenta, ma compatta,...
Traghetto per Goa
Ci recammo al porto di buon’ora con l'oramai familiare taxi giallo e nero 1100 Fiat. Una fila...
Il furto e il ritorno
Durante le nostre passeggiate di perlustrazione, avevamo individuato un sito nei pressi di un promontorio oltre...