Mestieri
studenteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
GreciaData di partenza
1941Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Le regole della convivenza tra i soldati italiani e la popolazione di Astakos, nel 1941, durante l’occupazione della Grecia da parte del Regio Esercito.
P.M. 45/P 26-10-41-XIX
Carissima mamma, stanotte è arrivata finalmente la posta: solo però quella di oggi, quella dei tre giorni precedenti era stata avviata altrove, (non lontano però) insieme col resto del battaglione e perciò l’avremo solo in seguito, forse anche fra molto tempo. Ma non si dovrebbe perdere. Ho ricevuto una tua del 19 e due lettere di Francesca a Flavia e di Lina, scritte il 19 e timbrate a Sassari il 21: come vedi (erano via aerea) hanno impiegato cinque giorni. Oggi ho anche ricevuto una lettera di Giuseppe Melis del 6-10 e una cartolina di Anita Mossa del 10, entrambe per via ordinaria. Dico questo per confermare ancor più ciò che ti ho esposto in proposito altre volte. Come vi ho scritto giorni fa ho ricevuto la pancera (spero però di non avere la necessità di usarla) e il porta sapone. Ora, sebbene non abbia niente di nuovo da dirvi, e sebbene sia notte, non voglio lasciarvi senza notizie. Scrivo alla fioca luce di un lumino a olio una scatoletta di latta con uno stoppino di fortuna: ma devo farlo perché la posta partirà domattina alle sette e il servizio è per ora sempre saltuario. Ora sono arrivate le scarpe nuove. I calzolai me ne hanno disfatto un paio e le hanno rifatte completamente, rinforzate con doppia suola e foderate internamente contro l’umidità per mezzo di una leggera pelle scamosciata. Lavoro che mi è costato 500 dracme (62 lire e 50), ma ora ho realmente un paio di scarpe che non temono né i sassi né l’acqua. Penso che Anna sia ormai a Roma e tu sia un po’ più tranquilla. E la laurea non potrà non andare bene. E Gavino Z. come sta? Ah, dimenticavo. Ti avevo scritto nella mia precedente che sarebbe stato bene se Anna avesse potuto inviarmi da Roma anche i pantaloni del pigiama. Al tempo! Ora sono inutili. Tra la roba invernale nel ripostiglio ho trovato un paio di mutande lunghe di lana che servono egregiamente alla bisogna, meglio anzi del pigiama. Quindi questa questione è risolta insieme con quella dei guanti perché anche nel ripostiglio ho trovato un paio di guanti di lana e persino un passamontagna. Tutta roba nuova, si capisce. Ora posso aspettare l’inverno a pie’ fermo. Proprio oggi ha ripreso il mal tempo. In questo momento fuori tuona e lampeggia e a tratti piove a dirotto. Sebbene il mare sia lontano da noi varie centinaia di metri, si sente netto il rimbombo cupo delle onde contro la scogliera. Quando piove qua, è un guaio con intervalli continua così per giornate intere mai però moderatamente, sempre pioggie torrenziali, diluvianti. E capisco ora perché in questa zona nelle vie principali le case hanno davanti alla facciata delle pensiline in lamiera ondulata che hanno la funzione di porticati. M’han fatto piacere le lettere delle cugine piene di tante notiziole e amenità. Dì loro che risponderò presto, forse domani stesso: in questi giorni la truppa sta sempre in caserma, la zona è si tranquilla, ma ora ricorre per questa gente un brutto anniversario…
Qua la solita vita, senza nulla di nuovo, le giornate passano veloci, non so neanch’io come, tra tante cosette, tante piccole occupazioni, un po’ a discorrere coi soldati, un po’ a leggere e a scrivere o chiacchierare cogli amici. L’ora migliore è, inutile dirlo, quella della mensa, sia per la mangiaria (qua chiamano così il cibo) sia perché si rimane a discorrere: e spesso facciamo entrare qualcuno dei bambini, poveri bimbi dagli occhi grandi e dal viso patito, alcuni tanto carini, che si fermano a guardare dentro da dietro i vetri: si dà loro un po’ di pane, di minestra avanzata; e poi li si fa parlare, noi impariamo un po’ di greco e insegniamo loro a dire “grazie’; a fare il saluto romano. E tanto i ragazzi come le bimbe sono molto intelligenti sotto la loro sporcizia, veramente piccoli, a cinque anni parlano e ragionano già come se ne avessero il doppio. “Katalavenis?” (hai capito?) diciamo loro, e subito rispondono “né, né” (si, si) muovendo la testa da destra a sinistra e viceversa. Perché qua per dire di no muovono la testa dal basso all’alto (come noi per affermare), e per dir di si la muovono come noi facciamo per dir di no! E proprio così, paese che vai…! E a quanti equivoci ha condótto questo nei primi tempi della nostra permanenza in Grecia! Così quando si andava a comprar qualcosa: Exete spirta (avete fiammiferi?) si vedeva che il venditore muoveva la testa per dir si, (così almeno ci pareva) e si stava là ad insistere perché te li desse, finché quello non si affannava a spiegare “Fignita magasino!” (è la frase che usano sempre quando non hanno qualche cosa — e oltre a “pane” credo che siano le prime parole italiane che hanno appreso) E se poi ti vogliono spiegare aggiungono: “Den exi” (non ce n’è), Atini, Missolongino, Pàtras, Astakòs tipote! (da Astakos niente). Ora ci siamo familiarizzati con questo linguaggio e ci si capisce abbastanza, e spesso, tra di noi, parlando usiamo parole greche italianizzate con le nostre desinenze: “Andiamo a peripatare” (passeggiare) “Hai katalavenato (capito?) ecc… Ma queste son tutte stupidaggini. Giorni fa andando di pattuglia a qualche chilometro dal paese con dei fanti ho avuto modo di vedere uno spettacolo, una scena che credo mi rimarrà sempre impressa. Posso darvi appena una idea di ciò che ho visto. Per farvi rivivere le impressioni da me riportare mi occorrerebbe almeno… la penna di Dante. Immaginate dunque un vallone gigantesco sprofondato tra roccie aguzze, corrose, stagliate livide contro un cielo opprimente di nuvole basse. Qualche grosso nero tronco, contorto gli ossuti rami protesi come inutile difesa contro i bruti, contro le acque. In fondo, il letto ampio, sassoso di un torrente rigato qua e là da scarsi ruscelletti. Pochi ciuffi di canne accasciate e giallicce. Sulle nostre teste un roteare continuo, sinistro nella sua lentezza, di neri uccellacci, certo corvi, avvoltoi. E qua di fronte, sparse lungo la ghiaia del torrente, carogne innumerevoli di cavalli, asini, muli. Alcuni già scheletri bianchi, altri ancora rivestiti di carne, assaliti dai cani e dai rapaci; ho il tempo di vedere, da pochi metri di distanza, qualcuno di questi immensi uccelli paurosi, gli occhi aggressivi, la testa spelacchiata, i rostri intenti a strappare rabbiosamente la carne aiutandosi cogli artigli piantati… E mentre ci avviciniamo è un fragoroso levarsi in volo, una protesta di strida irate, un fuggire ringhioso di cani… e, poco dopo, il silenzio assoluto, senza vita… Là in alto centinaia di neri punti vigilano roteando stancamente… Ecco, ho saputo dopo che qua c’è l’usanza di portare i quadrupedi moribondi o da uccidere o talvolta già morti, tutti nello stesso luogo. Si risparmia la fatica di seppellirli. Come idea, del resto, non è malvagia. Beh, ora questo lumino non ne può più. Volevo scrivere poche righe e invece mi si son già fatte le 10 e mezzo. Mi ha addolorato la notizia della morte di Consalvo Alla signorina Ofelia scriverò domani stesso. Ora vado a dormire. Dico anche a voi Kali nicta! (buona notte) e vi saluto e vi bacio tanto.
Gavino
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